Corriere della Sera, 7 settembre 2018
«Romanzo popolare», sfida di classe nella Milano di Monicelli
Non è vero che Milano non sia una città da cinema, e non solo per l’aspetto nuovayorkese dell’era del dopo Expo. Anche indietro nel Tempo ha saputo essere un «termometro» importante. Basta ricordare Miracolo a Milano, Rocco e i suoi fratelli (più attuale di ieri e meno di domani), La notte, i gialli alla moda di Vanzina con la Milano da bere, quelli di Lizzani con Lutring o i sanbabilini.
Alla lista manca una bellissima commedia di Mario Monicelli che a Milano ha ambientato una delle sue storie sociali ma anche romantiche e anche malinconiche, misto di gusti che solo lui sapeva mixare. Romanzo popolare, ‘74, è un titolo celebre anche perché è immortale la canzone di Enzo Iannacci che si adagia sui titoli di testa con Vincenzina alla fabbrica, ma anche perché nel personaggio indeciso della Muti, nella sua instabilità affettiva e sindacale, c’è l’anticipo di tanti disegni del femminismo. I fatti sono noti: Giulio, operaio non giovanissimo, sposa la figlioccia Vincenzina, da cui ha un figlio e cerca di formare la sua famigliola, con sacrifici quotidiani.
Ma a un certo punto, il destino del melò è sempre in agguato tra primo e secondo tempo, entra in casa il virus del tradimento, un poliziotto che è l’esatto contrario del padrone di casa che tenterà pace e armistizio.
Non è un finale banale quello di Monicelli, uno dei pochi suoi film che non hanno al centro gruppi di disperati e perdenti, gli amici miei, soliti ignoti o le armate Brancaleone, ma l’intimità d’una famiglia in fieri che si organizza per fare il salto dal proletariato alla piccola borghesia. Una continua sfida di età. di geografia (il poliziotto Michele Placido è del Sud, Tognazzi era cremonese), di classe, ideali e politica, con una Muti che riesce a essere sensualmente orgogliosa e sincera. Jolly la sceneggiatura firmata anche da Beppe Viola, la cui verosimiglianza è al cinema un dono raro.
(Romanzo popolare, di Monicelli. Iris, ore 17.06)