7 settembre 2018
In morte di Burt Reynolds
Maurizio Porro per il Corriere della SeraSembra impossibile, ma Burt Reynolds, l’attore macho, il baffuto eroe di Un tranquillo week end di paura e di Boogie nights, è morto ieri mattina in Florida allo Jupiter Medical, come ha confermato il suo manager, per un infarto. Lascia un figlio nato dalla breve tempestosa relazione con Loni Anderson, seconda moglie dopo Judi Carne e un flirt con la collega suicida Inger Stevens e affettuose amicizie con Sally Field e la cantante Dinah Shore.
La scomparsa stupisce, al di là dell’anagrafe (nato l’11 febbraio 1936, con origini irlandesi e cherokee) che per gli attori conta poco: anche se oggi pareva stanco e ingobbito, era l’immagine dell’uomo forte, erede degli eroi della prateria ma anche capace di prenderla con humour e filosofia tanto che era caduto nelle mani di Allen, Altman, Brooks. Certo la sua prima natura era di muovere le mani ed era entrato anche negli spaghetti western col Corbucci di Navajo Joe, che considerava il suo film peggiore: consigliava di proiettarlo in carcere o sugli aerei dove non c’è via di fuga (in realtà il premio per il peggior attore l’aveva vinto nel ’93 per Un piedipiatti e mezzo). Era uno di quei rudi capaci di generosità, uno schiaffo un bacio e una pistola, la tipologia di Clark Gable. Ed era ancora in attività: stava girando con Tarantino C’era una volta a Hollywood, sulla setta di Charles Manson.
Famoso per centinaia di film, anche dozzinali e per essere il mister muscolo dopo l’era degli Ercoli in sandaloni, Reynolds fece due gaffe storiche in carriera: dire no a James Bond e Han Solo, l’eroe di Star wars che poi finì nel conto in banca di Harrison Ford. Perse anche i ruoli di Rosemary’s baby, Voglia di tenerezza e Trappola di cristallo, a beneficio di Cassavetes, Nicholson e Bruce Willis. E a proposito di gaffe, l’aver posato nudo su Cosmopolitan nel 1972 gli fece perdere l’Oscar: altri tempi.
Un certo talento l’aveva, aveva vinto anche il Golden Globe nel 97: prova ne sia che, pur campione di virilità, era stato usato anche in ruoli contro, per esempio come regista hard con Mark Whalberg nel film di Paul Thomas Anderson Boogie Nights (nomination all’Oscar) e più ancora in quel famoso tranquillo week di paura in canoa diretto da John Boorman in cui quattro amici di città vivono un incubo per colpa di rudi boscaioli che lo molestano, rischiando vendetta tremenda vendetta. E fu subito cult, come il film sportivo carcerario Quella sporca ultima meta di Aldrich.
Reynolds, allevato alla vecchia scuola in cui bisognava saper anche ballare e cantare, si vide pure nei film fracassoni Il bandito e la Madama (incasso miliardario a puntate in patria) e La corsa più pazza del mondo, poi nel musical super kitsch Il più bel casino del Texas con la diva taglia L Dolly Parton.
Il fisico Burt l’aveva ereditato dal football universitario nel Winscosin, interrotto per un incidente. Tra realtà e leggenda, alla seconda appartiene la cronaca di una famosa lite fra lui e Clint Eastwood che li fece licenziare in tronco lo stesso giorno dalla Universal. Certo era uno degli ultimi esemplari del divo tutto d’un pezzo, non diplomatico. Provò anche a fare il regista, cinque volte, ma non gli andò bene. Non solo macho: la sua carriera conta film raffinati di Pakula, Siegel, Donen (In tre sul Lucky Lady), Bogdanovich (Finalmente arriva l’amore, Vecchia America), Blake Edwards (I miei problemi con le donne).
È stata una carriera da montagne russe, su e giù, il più pagato e il più indebitato, il più macho e il più ironicamente consapevole che il muscolo e il baffo alla fine non erano tutto senza la malizia del sorriso.
Cinzia Romani per il Giornale
Un’altra leggenda di Hollywood scompare e ha il nome di Burt Reynolds, uno dei degli attori americani più popolari tra gli anni Settanta e gli Ottanta del Novecento, quando film, con lui protagonista, come Boogie Nights. L’altra Hollywood, Quella sporca ultima meta, Un tranquillo weekend di paura e Smokey and the Bandit facevano sognare le platee di mezzo mondo. L’interprete, ritenuto un sex-symbol per la fisicità fortemente mascolina, è morto in Florida, allo Jupiter Medical Center, stando alle dichiarazioni del suo manager, Erich Kritzer. Nominato agli Oscar nel 1997, per il suo ruolo in Boogie Nights, Reynolds ha goduto d’una carriera incredibile, spalmata su sette decadi (oltre settanta i film), volendo includere le sue ultime apparizioni in Deliverance. Il suo agente Todd Eisner ha semplicemente detto: «No comment, si è trattato di un infarto». Apprendendo della sua morte, Arnold Schwarzenegger ha twittato: «Burt Reynolds era uno dei miei eroi. Ha mostrato la via della transizione da atleta ad attore tra i meglio pagati e mi ha sempre ispirato. Aveva anche un grande senso dell’umorismo. I miei pensieri vanno alla sua famiglia».
Nella sua autobiografia, intitolata «But Enough About Me», l’attore scomparso ha lasciato scritto: «Bene. So di essere vecchio, ma mi sento giovane. E c’è una cosa che nessuno potrà mai portarmi via: nessuno si è divertito più di me».
Burt era anche celebre per aver rifiutato ruoli prestigiosi: da Han Solo a John McLaine in Die Hard, fino a Qualcuno volò sul nido del cuculo, poi magnificamente interpretato da Jack Nicholson, i suoi grandi no non si contano. Un’icona del cinema internazionale, al pari di Clint Eastwood del quale era ottimo amico. «Siamo stati licenziati nello stesso giorno. Mi hanno licenziato perché parlavo troppo lentamente e lui perché il suo pomo d’Adamo andava orribilmente su e giù, troppo in fretta». Entrambi latin lover, certamente, ma Burt Reynolds ingranava una marcia più romantica, rispetto all’ispettore Callaghan. Come quando confessò il suo romanzo d’amore con la collega Sally Field, alla quale si legò tra la fine dei settanta e i primi Ottanta. «Mi manca tremendamente. Ancora oggi, per me è difficile vivere senza di lei. Non so perché sono stato tanto stupido da lasciarla, ma gli uomini sono fatti così», rivelò a Vanity Fair.
Nato a Lansing, nel Michigan, l’11 febbraio del 1936, Burt aveva radici inglesi, irlandesi, scozzesi e Cherokee. Nel 1946 la sua famiglia si trasferì a Riviera Beach, in Florida, mentre suo padre Burton Milo diventava capo della polizia locale. Dopo aver studiato alla Florida State University, Burt si rivelò una promessa del football, che abbandonò per vari infortuni al ginocchio. Dicendo addio alla carriera di calciatore, Reynolds avrebbe voluto diventare poliziotto come suo padre. Dato il fisico, prese in considerazione la carriera di attore: fu Joanne Woodward ad aiutarlo a trovarsi un agente. Dopo il debutto a Broadway, con Look, We’ve Come Trough, ottenne critiche positive che lo incoraggiarono a proseguire. Dopo diversi lavori, da cameriere a camionista, Reynolds cominciò a lavorare i tv nei tardi Cinquanta, debuttando con Angel Baby. Seguirono alcuni ruoli in spaghetti-western come Navajo Joe di Sergio Corbucci (1966), finché Albert Broccoli lo convocò per interpretare James Bond. «Un americano non può interpretare James Bond», rispose, confermando la sua fama di «Mister No».
A Quentin Tarantino, però, aveva detto sì: doveva apparire nell’erigendo Once Upon a Time in Hollywood, il film su Charles Manson, dove doveva essere George Spahn, allevatore cieco di Los Angeles.