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 2018  settembre 07 Venerdì calendario

Aristocratico signore dei felini, l’enigma mai svelato di Balthus

«Cominci così: “Balthus è un pittore di cui non si sa nulla. Adesso si possono guardare i suoi quadri”. (…) Ho sempre pensato che per un pittore il solo discorso valido, il più significativo e il più affidabile fosse costituito proprio dai suoi dipinti, con cui ha passato moltissimo tempo, di cui è stato complice e che, da soli, dicono assai più di qualsiasi discorso». Così, nel 1968, scriveva Balthasar Klossowski de Rola (1908-2001) in un telegramma al critico d’arte John Russell, curatore di un’antologica alla Tate gallery, il quale gli chiedeva qualche aneddoto da inserire nella sua presentazione in catalogo.
Potrebbe essere questa la chiave di lettura della retrospettiva di Balthus alla Fondazione Beyeler di Basilea, curata da Raphaël Bouvier e Michiko Kono (aperta sino all’1 gennaio): 40 lavori (1920-1990) che ne riassumono il percorso creativo. Una mostra interessante, questa svizzera, che, naturalmente, non ha niente a che fare con quella veneziana, davvero straordinaria, curata da Jean Clair, a Palazzo Grassi, qualche mese dopo la morte del conte. Il quale, come Victor Hugo, aveva chiesto, nelle ultime volontà, di essere trasportato sul carro funebre dei poveri – una carretta di contadini – ed essere seppellito in un piccolo campo che «venisse fertilizzato col suo corpo».
Fra i dipinti esposti, La strada (1933), l’autoritratto Il re dei gatti (1935), I piccoli Blanchard (1937), Teresa sogna (1938), Passage du Commerce-Saint-André (1952-’54). Ogni quadro, una curiosità. La strada? «Una via in cui sfilano automi che paiono usciti da un sogno», scrive Artaud nel ’36, mentre Jean Clair individua nel viso di uno dei protagonisti – il ragazzo visto di fronte – il Teofilo del Masaccio. Ne Il re dei gatti, dove Balthus inserisce per la prima volta il felino, egli si ritrae con l’aria di un dandy romantico («Altezzoso come Delacroix», dirà la madre): solo la giacca è nera, al contrario di Oscar Wilde che, nel giorno del proprio compleanno, indossava un completo nero in segno di lutto per la morte di uno dei suoi anni. Con I piccoli Blanchard, Balthus entra al Louvre, unico pittore vivente, grazie al lascito della collezione di Picasso (che lo aveva acquistato nel 1941) al Museo. Passage du Commerce-Saint-André, di notevoli dimensioni (294x330 centimetri) richiama la Rivoluzione: al numero 8 c’era la tipografia dove Marat stampava l’Ami du Peuple, al 9 si provava la ghigliottina e al 20 c’era la casa di Danton. 
Di Teresa sogna, Basilea ricorda che «anche in tempi recenti il dipinto ha creato scompiglio fra il pubblico del Metropolitan museum di New York, sfociato nel novembre 2017 in una petizione online con la quale si richiedeva che, a motivo della sua connotazione erotica, il quadro fosse rimosso o perlomeno ricollocato in un nuovo contesto». Frase, quest’ultima, che può essere interpretata in due modi: o è una sciocchezza del marketing svizzero (di decima categoria, però) per attrarre il pubblico, oppure lo specchio deformato di una pruderie «made in Usa», che non finisce mai di stupire. 
Lo stesso Balthus osservava: «Ci saranno dei biografi e dei critici d’arte che crederanno di trovare pose erotiche nelle mie modelle, insozzando il lavoro d’innocenza che ho voluto condurre, la mia ricerca di eternità. Ma che importa! Dimostreranno così di non avere capito nulla del mio lavoro. S’è sempre trattato di avvicinarsi al mistero dell’infanzia, alla sua grazia languida dalle frontiere incerte. Ciò che volevo dipingere era il segreto dell’anima, e la tensione al tempo stesso oscura e luminosa della ganga da cui le mie fanciulle non si erano ancora del tutto liberate».
Talvolta, erotismo e volgarità possono equivalersi. Ma certamente non in Balthus, autore di una pittura aristocratica. Nessuno, meglio di lui, sa dominare le proprie emozioni, riuscendo a controllarle attimo per attimo. E non è certo un caso. Fa parte dell’educazione dei nobili d’una volta. L’equivoco risale al 1934, quando Balthus dipinge Lezione di chitarra. Ha 26 anni e vuole provocare uno scandalo. Ci riesce perfettamente. Solo che ne pagherà lo scotto. Probabilmente l’«equivoco» fa parte degli enigmi che circondano l’artista. Come i suoi gatti; che ama da sempre, tanto da autodefinirsi il loro re. Ha solo tredici anni quando pubblica i disegni dedicati al proprio felino appena morto, Mitsou: 40 images, con la presentazione di Rainer Maria Rilke (amante della madre, Baladine). Per decenni, i gatti faranno parte del suo mondo pittorico, anche quando – soprattutto negli ultimi tempi – sceglierà di vivere in un isolamento in cui mistero, fascino ed eleganza sono tutt’uno. «L’ultimo grande artista di un’era cominciata sette secoli fa con Giotto» lo aveva definito James Lord. Proprio così.