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 2018  settembre 06 Giovedì calendario

La Turchia teme l’offensiva del regime di Assad


Rimane soltanto il vertice di domani a Teheran fra Putin, Erdogan e Rohani tra le avanguardie dell’armata di Bashar al-Assad e i ribelli intrappolati a Idlib assieme a tre milioni di civili. A mettersi di mezzo per frenare l’offensiva decisiva nella guerra civile siriana è la Turchia. Corre il rischio di vedere alle sue frontiere altri 800 mila profughi, in un momento di profonda crisi economica che rende l’accoglienza ancora più impopolare. E soprattutto il presidente Erdogan rischia di perdere l’aura di difensore dei musulmani sunniti che si è costruito in questi anni. Non può lasciare che venga schiacciato l’ultimo scampolo della rivolta sunnita contro il regime a trazione sciita di Bashar al-Assad.
«Se Idlib sarà tempestata di missili sarà un massacro, Dio ce ne scampi – ha ribadito -. Vado a Teheran con uno spirito positivo. È la continuazione di Astana. Spero di poter fermare l’estremismo senza scrupoli del governo siriano». L’accordo di Astana aveva messo la provincia di Idlib fra le quattro aree di «de-escalation». Le altre tre sono state riconquistate dal regime quest’anno. Idlib era considerata da Ankara un sorta di protettorato. Ma a differenza che nel cantone di Afrin e ad Al-Bab, altre zone sotto influenza turca, nella provincia l’esercito turco non è riuscito a imporre i «suoi» ribelli.
A Idlib ci sono circa 50 mila combattenti. La metà obbedisce ad Ankara, gli altri no. In particolare i 10 mila jihadisti irriducibili di Hayat al-Tahrir al-Sham, costola siriana di Al-Qaeda, che controlla il capoluogo e 600 mila abitanti e sfollati che ci sono ammassati. Ankara ha allora federato i suoi ribelli nel Jaysh al-Watani, l’Esercito della nazione. L’obiettivo è far sloggiare i qaedisti dal capoluogo, spingerli ai margini della provincia, dove il regime e l’aviazione russa potrebbe annientarli senza massacrare troppi civili. Dopo il primo assaggio di raid, martedì, il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov ha assicurato che i bombardamenti sono diretti soltanto su «obiettivi terroristici, confermati da più canali di informazione». Ieri però sono arrivati nella base aerea russa di Latakia anche i bombardieri pesanti Tu-154.
Anche i servizi turchi hanno condotto una campagna per eliminare capi jihadisti, specie nella parte settentrionale della provincia. Ma Idlib resta salda nelle mani dell’ex qaedista Mohammed al-Joulani, deciso a combattere «fino all’ultimo uomo». L’azione turca è stata finora limitata, non convince i russi, che fanno sempre più a fatica a frenare Damasco e l’Iran, decisi ad andare all’assalto. Onu, Stati Uniti, Europa, le Ong umanitarie sono impegnate in un tour de force diplomatica. Per la direttrice delle campagne sul Medio Oriente di Amnesty International Samah Hadid «a vita di milioni di persone a Idlib è nelle mani di Russia, Turchia e Iran in questo vertice decisivo» a Teheran. Il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ieri ha chiamato il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu. L’inviato della Nazioni Unite Staffan de Mistura ha invitato le parti martedì prossimo a Ginevra.
La Russia non è a suo agio. Per Alexey Khlebnikov, del Russian International Affairs Council, Mosca vuole evitare una crisi umanitaria che metta in ginocchio la Turchia «ma non può continuare a calciare il barattolo sempre più in là». A Teheran Erdogan teme una trappola. Ha inviato blindati e carri armati alle postazioni dentro la provincia di Idlib ma anche al confine, a Kilis, in funzione anti-curda. Per mettere sotto pressione la Turchia, l’Iran ed Hezbollah hanno infatti messo a disposizione armi e consiglieri militari ai curdi delle Forze democratiche siriane, che potrebbero addirittura inviare un loro contingente a combattere a fianco del regime a Idlib.
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