Il Messaggero, 6 settembre 2018
Varoufakis racconta in un libro la crisi che piegò la Grecia
La confessione di uno sconfitto. Brillante, competente, informatissimo, incalzante e perciò capace di tenere il lettore con il fiato sospeso nonostante già si conosca l’epilogo. Epperò l’appassionata cronaca dei suoi centossessantadue giorni da ministro delle Finanze – da gennaio a luglio 2015 – che Yanis Varoufakis descrive in Adulti nella Stanza, è soprattutto la confessione di uno sconfitto. Quasi 900 pagine, dense di avvenimenti noti e meno noti ma ciascuno descritto con una curvatura tutta personale, sono il sunto del suo disperato tentativo di convincere l’Europa a rinegoziare il debito della Grecia per renderlo sostenibile senza costringerla a vendere l’argenteria, chiudere gli ospedali, tagliare le pensioni e azzerare la maggior parte dei servizi di assistenza sociale.
UNA ROCKSTAR
Osannato come una rockstar quando non dipinto come moderno Che Guevara con inclinazioni da conferenziere alla Tony Blair, vittima di gesti di autocompiacimento che sfiorano il narcisismo, non vi è però dubbio alcuno sulla sua conoscenza dei fondamentali dell’economia. E non solo perché prima di essere scaraventato nel ventre della bestia – come egli definisce il complesso delle forze che lo hanno sovrastato – era stimato professor alla Lyndon B. Johnson School of Public Affairs di Austin in Texas, distaccato dall’università di Atene. La sua analisi delle ragioni che hanno trascinato il suo Paese alla mercé delle banche creditrici – in special modo tedesche e francesi – e del perché il salvataggio imposto dall’Europa altro non fu che il salvataggio dei suoi famelici creditori (a spese della sola Grecia), fa giustizia delle ipocrite e sfrontate narrazioni che in questi anni ci ha ammannito la comunicazione ufficiale di ispirazione teutonica.
È pur vero che la Grecia doveva in qualche modo pagare decenni di corruzione ad ogni livello, di sistematica evasione fiscale, di privilegi clientelari concessi agli armatori, di immensi sprechi strutturali sostenuti da una finanza criminale. Però anche i suoi creditori, che avevano speculato in modo scellerato sulle sue debolezze, avrebbero dovuto pagare l’azzardo visto che ben sapevano a chi erano i destinati i loro denari. Cosa invece non accaduta, perché salvando loro si è salvata «l’integrità dell’Unione europea e il sistema finanziario globale». Così ci hanno spiegato.
LE IMPENNATE
Ebbene, in questo scenario il racconto di Varoufakis – al netto delle impennate narcisistiche e di alcune sorprendenti ingenuità – si fa drammatico e intenso. La sua vicenda personale, il dramma del professore di economia prestato alla politica e precipitato nel vortice e negli intrighi della finanza globale, la sua partecipazione appassionata e impotente all’ineludibile catarsi, il tradimento da parte del suo primo ministro Alexis Tsipras, fanno del libro un vero noir politico-finanziario di grande attualità. I puntuali resoconti degli incontri con Angela Merkel, Mario Draghi, Wolfagang Schauble, Christine Lagarde, Emmanuel Macron, George Osborne e Barack Obama sono solo capitoli di una più ampia tragedia shakespeariana nella quale i personaggi, né buoni né cattivi, sono travolti proprio come nel Macbeth dalle conseguenze non volute di quello che ritenevano fosse loro dovere fare. E come in tutte le grandi rappresentazioni teatrali non poteva mancare la figura del suggeritore. Nel caso di Varoufakis si tratta nientemeno che di Larry Summers, l’ex segretario al Tesoro americano che, facendo gli interessi degli Stati Uniti, non esita a dispensare buoni consigli all’amico e collega Yanis. Soprattutto uno: se vuoi davvero modificare le cose, gli dice, devi giocare dentro, non puoi giocare fuori e pretendere che quelli di dentro ti ascoltino.
L’AUTOSTIMA
Forse per eccesso di autostima o per presunzione, Yanis però si rifiutò di entrare dentro e quindi di piegarsi agli interessi «dei potentati istituzionali e delle consorterie». Gioca perciò da fuori. Così negoziò in maniera aggressiva, cercando di spiazzare i suoi avversari con un comportamento eccentrico e irrispettoso del protocollo. Ma dopo una sorpresa iniziale, i creditori della Grecia reagirono con tutta la forza di cui disponevano. Sicché la richiesta di una riduzione netta della quota di debito da restituire – sostenuta dalla reiterata minaccia di un’uscita traumatica della Grecia dall’euro – venne brutalmente respinta. È vano ripercorrere quelle ore, sapendo in anticipo come poi andò a finire: Varoufakis e Tsipras decisero di interrompere i negoziati e di indire un referendum per decidere se accettare o meno l’imposizione del nuovo pesante prestito finalizzato alla restituzione totale dei debiti. E nonostante la vittoria massiccia dei no, alla fine Tsipras cedette ai grandi creditori e Varoufakis dovette dire addio al suo sogno di rompere il «cerchio malefico da fuori».
Tre anni dopo quegli eventi dobbiamo riconoscere che le basi del ragionamento di Varoufakis sono in parte ancora valide. Il debito greco è effettivamente pressoché impossibile da ripagare e l’austerità ha prodotto miseria e sofferenza, riducendo di un quarto il Pil del Paese e portando metà dei greci sotto la soglia di povertà.
Diversi economisti, tra cui il premio Nobel Paul Krugman, sostengono che le sue proposte di negoziazione fossero moderate e accettabili. Anche un altro dei suoi argomenti è difficile da smontare, ossia che a differenza del popolo greco i banchieri tedeschi e francesi che prestarono soldi alla Grecia prima della crisi, alimentando la bolla scoppiata nel 2011, non hanno pagato il prezzo del loro sconsiderato investimento.
LA CREPAMa nella strategia di Varoufakis c’è una crepa che mina alla base la sua costruzione. Di là dell’eccentrica strategia negoziale – Varoufakis fece di tutto per rafforzare la sua immagine di economista iconoclasta, capace di sostenere anche le tesi meno ortodosse e più rischiose – è però l’assunto su cui si basava il suo piano a sollevare seri dubbi, ossia che l’uscita della Grecia dall’euro avrebbe danneggiato più i suoi creditori che la Grecia stessa. Era senza dubbio un assunto corretto all’inizio della crisi, vale a dire nel 2010-2011, quando le banche di mezzo continente erano colme di titoli greci e non esistevano meccanismi istituzionali per far fronte al rischio di contagio che avrebbe prodotto una Grexit. Ma nel 2015 questa situazione era profondamente cambiata. Le banche erano state messe sostanzialmente al sicuro e gli altri paesi periferici, Italia, Spagna e Portogallo, erano oramai protetti dall’ombrello del Quantitative easing steso dalla Bce. Dunque, a pagare un prezzo altissimo sarebbe stata solo la Grecia: e questo i creditori lo avevano chiaro quando decisero di irrigidire la loro posizione. Ecco il suo più grave errore: non aver capito che quelli di dentro mai avrebbero accettato di essere messi in discussione da uno di fuori.
LA TRAGEDIALa tragedia della Grecia e del suo governo populista dovrebbe far riflettere gli entusiasti boy scout che oggi guidano l’Italia, alcuni dei quali forti sostenitori di un addio all’euro. Pensare che in caso di Italexit non ci siano potenti istituzioni pronte al saccheggio di quanto ancora resta nel nostro Paese, non è solo ingenuo, è politicamente criminale. Davvero è il caso, come suggerì Lagarde durante una delle più concitate riunioni con Varoufakis e il suo team, che «qualche adulto torni nella stanza».