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 2018  settembre 05 Mercoledì calendario

Biografia di Eugenio Scalfari

Eugenio Scalfari, nato a Civitavecchia (Roma) il 6 aprile 1924 (94 anni). Decano del giornalismo italiano. Fondatore del quotidiano la Repubblica (14 gennaio 1976), da lui diretto dal 1976 al 1996. Già cofondatore, con Arrigo De Benedetti, del settimanale L’Espresso (2 ottobre 1955), da lui diretto dal 1963 al 1968. Scrittore. Politico (deputato del Psi dal 1968 al 1972). «Si sostiene che io sia stato fascista, monarchico, liberale, radicale, socialista, comunista e alla fine democristiano. Ed è tutto vero» •«Scalfari è figlio unico, la sua famiglia paterna è calabrese, il bisnonno materno è nato a Procida. Il padre combatte nelle trincee della Grande guerra, poi diserta e segue a Fiume Gabriele D’Annunzio. La mamma, una donna malinconica, non ha mai dimenticato la morte del proprio padre. I due “non si erano mai veramente amati… e fu l’amore per me che li tenne uniti finché vissero”. Nel 1933 la famiglia si trasferisce a Roma. Al liceo Mamiani la materia preferita da Eugenio è la storia antica, i ragazzi si dividono tra tifosi di Ettore e di Achille: prevale Ettore, che non godeva dell’inviolabilità di Achille. Scalfari è un piccolo balilla, la divisa il suo orgoglio. Nel luglio del 1938 la famiglia, causa gli scarsi affari del padre, si trasferisce a Sanremo [dopo che il padre, avvocato con pochi clienti, era stato nominato direttore del locale casinò – ndr]. E lì, al liceo Cassini, […] nasce e diventa consapevole la sua ricerca personale. In classe con lui, seduto al suo banco, […] Italo Calvino, un “rapporto essenziale, perché il nocciolo del nostro modo di pensare e di sentire ce lo formammo insieme…”. Ma scoppia la guerra, il padre viene richiamato, e Scalfari ritorna a Roma, a studiare Giurisprudenza. Le prime esperienze da giornalista al settimanale del Guf (Gruppo universitario fascista), dal quale viene poi espulso. “Io ero fascista. Ero cresciuto nel fascismo come tutti i giovani della mia età…”. La guerra è perduta, i nazisti sono ancora a Roma, Scalfari non si presenta alla leva, è costretto, pena la morte, a nascondersi nella Casa del Sacro Cuore. Dopo la guerra la prime esperienze di lavoro, come direttore di una casa da gioco, poi in banca, e l’amore per la scrittura, che lo porterà alla corte di Pannunzio, alle amicizie e al sodalizio con gli intellettuali e i politici azionisti. Comincia a collaborare al Mondo. Il suo maestro, in quegli anni, è Arrigo Benedetti, che lo forma come giornalista: “Non ho capito”, e allora Scalfari riscrive l’articolo e impara l’arte di farsi capire da tutti. Ma il salto avviene pochi anni dopo. Costretto a lasciare la Bnl, Eugenio è ormai un giornalista a tutti gli effetti. Inizia, con Benedetti e con un giovane editore, Carlo Caracciolo, a progettare la fondazione di un giornale. Conosce Adriano Olivetti, e con i suoi finanziamenti nasce l’Espresso (i soldi per fare un quotidiano non bastavano). Quel settimanale, formato lenzuolo, in pochi anni riesce con le sue battaglie a scalfire la corteccia di una società conservatrice dominata in politica dalla Democrazia cristiana. Scalfari, nel 1968, è tentato dalla politica, viene eletto nelle file del Partito socialista. Non rieletto, ritorna a lavorare, come amministratore delegato, all’Espresso e a riprogettare la nascita di un quotidiano. Repubblica inizia le pubblicazioni nel 1976, e per venti anni sarà guidato da Scalfari. Una fase epica, come fu quella dell’Espresso, in cui il quotidiano, dopo una fase iniziale incerta nelle vendite e nella linea editoriale, trova finalmente un baricentro che in pochi anni lo farà diventare il primo quotidiano italiano, […] punto di riferimento dei riformisti e progressisti italiani. Repubblica, con il suo nuovo modo di intendere il giornalismo, la settimanalizzazione del quotidiano, incide nel corso della politica più di quanto si immagini. Dopo venti anni di direzione Scalfari decide di lasciare la direzione a un giovane. Deve avere lo stesso sentire del fondatore. Lo individua in Ezio Mauro, con il quale perdura un sodalizio professionale e di amicizia. Lui si può dedicare agli editoriali e soprattutto alla scrittura di libri, la passione degli ultimi anni, “un viaggio dentro me stesso”» (Alessandro Corbi). Nel 1994, con Incontro con Io(Rizzoli), ha inaugurato una serie di libri in cui autobiografismo e riflessione filosofica scolorano l’uno nell’altra: tra i titoli successivi, L’uomo che non credeva in Dio(2008), Per l’alto mare aperto(2010), Scuote l’anima mia Eros(2011), L’amore, la sfida, il destino(2013) e L’allegria, il pianto, la vita(2015), tutti pubblicati da Einaudi. Nel 2012 la Mondadori ha raccolto un’antologia dei libri e degli articoli di Scalfari in un volume della sua prestigiosa collana «I Meridiani», La passione dell’etica. Scritti 1963-2012•«Scalfari era affamato di potere. Fondò Repubblica dicendo che voleva dar voce alle classi produttrici del Paese, gli imprenditori e i lavoratori, contro le classi parassitarie che, evidentemente, votavano Dc. […] Politicamente si collocava in un’area sterminata che cominciava dai repubblicani e finiva con gli autonomi, cioè i lembi non clandestini del brigatismo. La sua origine di settimanalista portava però nel mondo spento dei quotidiani una propensione al retroscena, alla prospettiva, al passo lungo che i quotidianisti non avevano, un piglio diverso nelle interviste, una sapienza grafica, una cultura fotografica. […] La conoscenza dell’economia, in un mondo di professionisti, da questo punto di vista, quasi del tutto analfabeti, illuminava le informazioni di una luce completamente nuova. […] Le grandi relazioni potevano garantire, e avrebbero garantito, un flusso di informazioni riservate da far invidia a un servizio segreto. […] Il giornale andò male i primi due anni e si stava per chiuderlo quando Moro fu rapito e le Brigate Rosse scelsero Repubblica come veicolo della loro comunicazione. La prima foto Br faceva vedere Moro prigioniero che teneva in mano Repubblica. Scalfari, profittando della contemporanea crisi di Paese sera, […] imbarcò così il pubblico simpatizzante dei movimenti o comunque di sinistra, ma stufo del grigiore del Pci. Repubblica profittò poi della crisi di copie e credibilità dell’Unità e mise nel suo lettorato un’importante quota di comunisti. Infine il Corriere della Sera (siamo nel 1981) fu scoperto come propaggine della P2, e Scalfari […] ci diede dentro con i valori della democrazia e la difesa delle istituzioni repubblicane, e portò a casa perciò una bella fetta di pubblico borghese, benpensante, moderato nella sostanza, e moderno nell’apparenza. […] Alla fine del 1981, con il giornale ampiamente sopra le 200 mila copie, il problema economico era alle spalle. […] Intanto Repubblica aveva imposto un nuovo modo di titolare, un nuovo modo di raccontare lo sport, […] un nuovo modo di porsi di fronte alla politica, che imparò presto che Scalfari andava trattato non come un giornalista qualunque da irreggimentare ma come un capo-partito, con cui si doveva scendere a patti. […] Nel 1986, quando Repubblica cominciò ad allegare fascicoli creando così un nuovo mercato (di fascicoli in edicola, a quel tempo, non c’era neanche l’ombra), superò il Corriere e divenne finalmente il primo quotidiano. […] Nella battaglia tra Berlusconi e De Benedetti, si schierò fin dal primo istante con De Benedetti. […] Dopo il lodo Ciarrapico, vendette anche lui il suo dieci per cento e incassò una cifra mai accertata, ma che la voce comune indica in cento miliardi di lire. L’ultimo giorno radunò la redazione e spiegò che […] vendere era stato […] un atto di prudenza e saggezza, che garantiva per il futuro la stessa libertà di cui il giornale aveva goduto in passato. La redazione accolse il discorso con un silenzio assoluto, e Scalfari, alzandosi in piedi e stirandosi leggermente i fianchi, chiese sottovoce al fido Gianni Rocca: “Come mai non applaudono?”» (Giorgio Dell’Arti)•Grande rumore, nel novembre 2017, quando, intervistato da Giovanni Floris a DiMartedì(La7), dichiarò che, alle successive elezioni politiche, tra Luigi Di Maio e Silvio Berlusconi, in mancanza di alternative, avrebbe scelto il secondo. L’affermazione suscitò lo sdegno e l’imbarazzo di larga parte dello stesso Gruppo Espresso, dal quale gli vennero attacchi anche molto violenti e volgari •Al referendum istituzionale del 2 e 3 giugno 1946 ha dichiarato di aver votato per la monarchia, in quanto «liberale e crociano»: «Croce era convinto che l’istituto monarchico offrisse maggiori garanzie di laicità rispetto alla repubblica guidata dalla Democrazia cristiana. […] Il voto monarchico non era stato frutto di passione. Ero in realtà un repubblicano, e lo sarei ridiventato subito dopo» (a Simonetta Fiori) •Dichiaratamente ateo, intrattiene stretti rapporti con papa Francesco (il quale, in base a quanto da lui riferito, ha replicato alla sua professione d’ateismo sostenendo che «seguo comunque la predicazione di Cristo, quindi l’anima può essere salva. Io ho detto: ma io non credo nell’anima. E lui: sì, ma ce l’ha»). In più occasioni gli articoli contenenti le ricostruzioni dei suoi colloqui con Bergoglio, in cui Scalfari aveva attribuito al pontefice argentino prese di posizione particolarmente innovative rispetto alla dottrina e alla tradizione cattolica (talora ai limiti dell’eresia), sono stati ufficialmente sconfessati dalla Santa Sede, per essere poi di fatto confermati, in un apparente gioco delle parti, o mediante la ripubblicazione dei medesimi articoli o, in ogni caso, con la concessione al giornalista di ulteriori inviti privati • «Un po’ di sangue ebreo ho scoperto di averlo. Da parte della nonna materna, che pure era cristianissima e teneva Don Bosco sul comodino. Eppure, anche se all’inizio non ci credevo, ho avuto prova che la sua famiglia era ebrea, […] ed era una di quelle famiglie di ebrei detti marrani, coloro che dichiaravano di essere cristiani durante le persecuzioni antiche» (ad Attilio Giordano) • Dal primo matrimonio con Simonetta De Benedetti (1921-2006) – figlia di Giulio De Benedetti (1890-1978), storico direttore de La Stampa –, durato dal 1954 fino alla morte di lei, ha avuto le due figlie, Enrica (responsabile dell’agenzia fotografica Agf) e Donata (giornalista Mediaset). Nel 2008 si è risposato con Serena Rossetti, con cui aveva da decenni una relazione di cui la moglie era a conoscenza («Per molti anni della mia vita adulta sono stato bigamo. […] La nostra relazione triangolare ha procurato a ciascuno felicità e certamente sofferenze, ma è stata a conti fatti una fortuna grande») • «Ho sempre ricercato rapporti chiari con il potere. Non credo nell’oggettività, neppure in quella della cronaca. La cronaca cambia a seconda di chi guarda e da che parte guarda. Ho sempre trovato onesto dichiararlo e lasciare che l’interlocutore, i lettori, siano avvertiti e poi scelgano». «Il mio ego, il mio Narciso […] è appena un po’ più grande del normale. Ma è come un cagnone: riesco a tenerlo al guinzaglio. Quasi sempre».