La Stampa, 4 settembre 2018
Petrenko riscopre l’anima della corazzata Berliner
Sarà il nuovo direttore dei Berliner Philharmoniker dalla stagione 2019/20, ma già ora va in tour con la sua nuova orchestra, e gli effetti sono immediati. Kirill Petrenko, siberiano di 46 anni ma di formazione musicale austriaca, è stato scelto già nel 2015, in un voto segreto e a sorpresa dopo che il primo, sbandierato ai quattro venti, si era risolto con un nulla di fatto. L’orchestra si era spaccata su chi avrebbe preso il testimone di Simon Rattle, che nel luglio scorso ha lasciato Berlino per la London Symphony, con indubbio salto all’ingiù. Unitasi poi nel nome di Petrenko, si è trovata di fronte al fatto che il direttore stava già trattando il rinnovo del suo contratto dalla Bayerische Staatsoper di Monaco, dov’è amatissimo. Così lui entrerà ufficialmente in carica a Berlino solo dalla stagione ancora successiva, dirigendo anche a Monaco fino al 2021, ma riducendo gradualmente gli impegni qui e aumentandoli là.
Nondimeno, con il suo animo gentile e una rara limpidezza di vedute, non ha voluto lasciare da soli i berlinesi, inaugurandone la stagione corrente (già sulla Digital Concert Hall) anche con un concerto nel cortile del castello degli Hohenzollern, che l’italiano Franco Stella ha quasi terminato di ricostruire, e andando in tour al Festival di Salisburgo, a quello di Lucerna dove l’abbiamo ascoltato e domenica scorsa ai Proms di Londra.
Antidivo per eccellenza, che non rilascia interviste e non incide dischi (a Berlino, però, gli toccherà farlo), capace di mescolarsi in pantaloni corti e giacca da vento ai visitatori della casa abitata da Wagner alle porte di Lucerna, Petrenko apre davvero una nuova era per l’orchestra tedesca. Come accaduto subito qui, ne cambierà lo stile e il suono: perché i Berliner non saranno più quell’orchestra corazzata che spesso Rattle ha lasciato a se stessa curando poco la qualità del timbro, ma un organismo che respira, con molti più colori e una carezza più umana. Ha davvero sorpreso ascoltare due noti poemi sinfonici di Richard Strauss, Don Juan e Morte e trasfigurazione, in cui la potenza sonora non risultava mai fine a se stessa, con un sottigliezza di fraseggio e una fantasmagoria di colori anche là dove meno le si immaginava, nelle zone d’ombra, di passaggio, quelle da cui si sviluppa in un caso la dolcezza dell’ideale femminino e, nell’altro, l’ideale creativo che sorge dalla materia indistinta nella mente di un artista immaginario alle soglie della morte.
L’intelligenza di Petrenko saprà far riscoprire capolavori noti, come a Lucerna la Settima Sinfonia di Beethoven, un flusso energetico che tanti direttori appesantiscono, mentre lui è a tratti addirittura giocoso nello scovare le linee cinetiche dentro la partitura e nel far sprigionare l’energia dall’interno, con le sue spinte e controspinte. La sua curiosità amplierà il repertorio, andando in terre incognite. Il secondo concerto lucernense ricalcava uno berlinese della passata stagione, con al centro un pagina certo famosissima come il Terzo Concerto per pianoforte e orchestra di Prokof’ev, con solista Yuja Wang semplicemente paurosa per facilità di virtuosismo. Ma era aperto da una pagina colta e poco frequentata di un compositore oggi raro come Dukas, il balletto La Péri, e chiuso addirittura da una sinfonia imponente e ai più sconosciuta come la Quarta di Franz Schmidt. Requiem strumentale per la figlia Emma in un linguaggio che parte da Bruckner e Mahler, è un cerchio che, toccando picchi drammatici, si apre e si chiude con la melodia nuda e mesta di una tromba sola. Tanti direttori vogliono finire un concerto nel segno del clangore, Petrenko no: dopo un’intensità in tutto priva di toni esteriori, ma nata unicamente dalla forza interiore dell’anima, ci lascia lì nel silenzio e nel raccoglimento a meditare. Anche su come un’orchestra mediatica come i Berliner diverrà con lo schivo Petrenko la voce delle cose semplici e vere.