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 2018  settembre 04 Martedì calendario

Stamperemo organi su Marte

Tessuti, vasi sanguigni. Ma anche cuori e fegati. Un progetto testa la medicina per le missioni spaziali U n giorno stamperemo i pezzi di ricambio per il nostro corpo: pelle, vasi sanguigni e anche organi, quando ne avremo bisogno. Sarà una delle soluzioni mediche del futuro sulla Terra. Ma anche su Marte. Sembra fantascienza, ma l’ingegneria delle missioni spaziali deve immaginare di cosa avremo bisogno nel 2030 o nel 2040, negli anni della prima colonia marziana.
Finora non è mai stata obbligatoria la presenza di un medico nello spazio, tutte le missioni prevedevano la possibilità di un veloce rientro a Terra, Marte è tutta un’altra sfida: «Se parti non puoi tornare indietro, devi fare tutto il giro, fino a Marte e ritorno – sottolinea Tommaso Ghidini, responsabile della divisione Strutture, Meccanismi e Materiali dell’Agenzia spaziale europea – significa almeno un anno e mezzo. Le prime missioni avranno un equipaggio ridotto. E a bordo dovrà esserci anche un medico, quello che chiamiamo un “chirurgo McGyver"».
Un generalista, in grado di far fronte alle principali esigenze di un equipaggio impegnato in una traversata planetaria: cistiti, infezioni alle vie urinarie o all’apparato respiratorio. E le conseguenze di possibili incidenti, bruciature, tagli, ossa rotte. Eventi acuti, traumatici, da mettere in conto tra i rischi dell’esplorazione di un nuovo mondo: «Su Marte gli astronauti svolgeranno attività con un certo fattore di rischio e – continua Ghidini – quel chirurgo dovrà occuparsene in situ. Il 3D bioprinting ci darà opzioni di medicina rigenerativa anche per l’insediamento su altri pianeti».
La stampa 3D ha fatto grandi passi avanti nella produzione di tessuti come pelle, ossa, vasi sanguigni e cartilagini come orecchie e naso. Così, un pioniere in avanscoperta tra le rocce e la polvere del Pianeta Rosso, ferito o ustionato, potrà trovare al rientro alla base una stampante pronta ad assemblare cellule come mattoncini per ricostruire in tempi record la parte danneggiata. E per missioni lunghe diversi anni, durante i quali potrebbero insorgere malattie croniche, si potrà pensare addirittura alla sostituzione di un organo: «Sulla Terra si stanno sviluppando tessuti per impianti, per ricostruire localmente organi così come patch cardiaci e segmenti di vasi sanguigni: avremo i primi risultati nel 2020. Come traguardo diciamo che nel 2030 potremo avere le prime parti di organo e poi i primi organi funzionali. Ma per lo spazio i tempi sono ancora più lunghi», puntualizza Ghidini.
Ci sono ancora molti aspetti da studiare, dalle camere sterili all’utilizzo di tecnologie come realtà aumentata e virtuale per operare in assenza di gravità e su un pianeta alieno: «Il nostro “chirurgo Mc Gyver” dovrà lavorare senza assistenza diretta perché le comunicazioni impiegano 40 minuti per andare e 40 per tornare dal pianeta alla Terra – continua Ghidini – supponiamo che su Marte ci sia un problema cardiaco: quel medico verrà addestrato su un paziente virtuale con le caratteristiche di quello reale e verrà guidato dal pool di specialisti, fino a che non avrà l’ok e quindi potrà operare con l’assistenza di un robot».
La medicina spaziale è un settore ancora quasi inesplorato, soprattutto per esploratori che devono spingersi così lontano. E nel bioprinting la ricerca terrestre è molto più avanti. Un gap da colmare: «L’accelerazione portata dalla prospettiva spaziale è enorme – conclude Ghidini – si aprono nuove visioni, nuove soluzioni, per esempio per sviluppare dispositivi sempre più piccoli. Ne beneficeremo tutti».