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 2018  settembre 02 Domenica calendario

Il grano antigelo è targato Italia

I cereali sono le piante attorno alle quali nascono le grandi civiltà del pianeta Terra. Il riso in Cina, il mais in Centro America e, per noi, nel Mediterraneo il grano. La storia della nostra civiltà sboccia oltre diecimila anni fa tra il Tigri e l’Eufrate, quando qualcuno, probabilmente una donna, nota che da una spiga abbandonata sul terreno stanno nascendo germogli di grano. Raccogliere i semi e conservarli per l’inverno senza mangiarli, seminarli a primavera, accudire e irrigare le piante, trebbiarle in estate e macinare i semi fa nascere l’agricoltura e un nuovo modo di vivere, proteggere e nutrire le famiglie, tessere relazioni, cambiando la base dell’alimentazione rispetto a quando vivevamo in sparuti gruppi di cacciatori-raccoglitori. Le prime città nascono dall’esigenza di restare vicini ai campi coltivati e così sorgeranno le tecnologie per arare e irrigare i campi, la scrittura per comunicare e fissare regole, fino alle forme più complesse di relazioni umane, sconosciute quando la nostra specie era organizzata in piccoli gruppi erranti.
Il grano è ancora oggi la pianta più coltivata al mondo, l’alimento base per un terzo degli abitanti del pianeta, che ci fornisce un quinto di tutte le calorie che consumiamo. Ma è anche una pianta incredibilmente complicata. In effetti il grano tenero con cui facciamo il pane, i biscotti e la pizza sono tre piante in una. Tre piante cugine, ma che nel corso dell’evoluzione si sono fuse in un solo cereale, con l’ultima fusione avvenuta solo 6-8 mila anni fa nei campi coltivati con piante imparentate al grano duro. Difatti il grano tenero ha un genoma cinque volte più esteso del genoma umano. E ben 108 mila geni, tre volte e mezzo più di noi. E poi noi abbiamo di ogni cromosoma due copie: uno materno, uno paterno. Il genoma del grano ha sei copie di ogni cromosoma, tre paterni e tre materni che sono tra loro solo «quasi» uguali.

La dimensione gigantesca e la presenza di cromosomi solo quasi uguali hanno reso finora impossibile decifrare il patrimonio genetico del grano tenero. Così tredici anni fa, duecento ricercatori di 73 istituzioni sparse in venti Paesi al mondo hanno deciso di coalizzarsi per poter svelare il genoma del grano attraverso il sequenziamento del suo Dna. I risultati sono appena stati pubblicati in almeno sei articoli usciti simultaneamente, la metà dei quali su una delle riviste scientifiche più qualificate al mondo: «Science». Immaginate che il grano sia come un’auto: se prima disponevamo solo di una vettura, ora gli scienziati hanno scritto il libretto delle istruzioni descrivendo ogni singolo pezzo del veicolo.
Questo consentirà di migliorare e soprattutto adattare il grano alle mutate condizioni ambientali ed esigenze alimentari. Ad esempio, conoscere come è fatto e dove si trova il radiatore di un’auto consente in inverno di proteggerla con un anticongelante. Le piante di grano hanno dei sistemi per resistere al freddo, anche a 20 gradi sottozero e il gruppo di ricerca italiano che ha contribuito a identificare questi geni per la tolleranza al freddo nel genoma del grano è stato chiamato a far parte dell’esteso consorzio internazionale proprio per condividere queste conoscenze. Delfina Barabaschi e Luigi Cattivelli del Crea (Centro di ricerca genomica e bioinformatica di Fiorenzuola) hanno così permesso che l’Italia fosse parte del team che ha risolto uno dei più complessi enigmi della biologia delle piante coltivate.
Come sempre accade, raggiunto un risultato ci si trova di fronte a sfide ancora più ambiziose. La prima è quella di far tornare il nostro Paese a investire in ricerca e conoscenza. La Sicilia era il granaio dell’Impero romano, ancora negli anni Settanta la produzione nazionale di grano tenero era di circa 7 milioni di tonnellate, mentre oggi, con una produzione dimezzata, l’Italia importa metà del grano tenero che consuma. Eravamo ai vertici della genetica vegetale mondiale con le straordinarie intuizioni di Nazareno Strampelli, che un secolo fa rivoluzionava la genetica del frumento introducendo nei grani i primi fattori genetici che riducevano la taglia, adattavano le varietà all’ambiente italiano, dando vita a piante che per le loro caratteristiche produttive si diffusero in tutto il Sud Europa, salvando molte persone dall’inedia. Questi grani teneri erano degli incroci tra il grano Rieti e grani esteri, persino giapponesi: per aver «inquinato» il cereale locale con grani stranieri, Strampelli fu cacciato dalla sua organizzazione agricola. Ma nel 1970 a Norman Borlaug fu attribuito il premio Nobel per la pace perché aveva sfamato il mondo con altri grani teneri, anche quelli incrociati con grani semi-nani giapponesi, come aveva fatto il genetista marchigiano maltrattato dai sovranisti del tempo.
Una delle sfide che abbiamo di fronte è quella di riconoscere e sostenere i nostri scienziati di valore. Se non faremo esperienza dai nostri errori, continueremo ad importare dall’estero sia i semi di grano che usiamo per seminare i nostri campi, sia il frumento che serve per produrre il pane che mangiamo ogni giorno. Investire in ricerca significa anche poter adattare le piante ai nostri territori e alle mutate condizioni ambientali. Tornare a coltivare i grani antichi è romantico, ma miope. I grani antichi non hanno nessuna delle miracolose proprietà che vengono loro attribuite, mentre hanno una resa per ettaro inferiore alla metà di quella dei grani «moderni» e sono vietati per il consumo ai celiaci. Una delle sfide che ci consente di lanciare la scoperta del «libretto delle istruzioni» del frumento è la selezione di varietà capaci di produrre un cereale più sano, usando meno terra, meno agrofarmaci e meno risorse. 
Dopo la pubblicazione del genoma del grano, i Paesi che più investiranno nel miglioramento genetico del frumento potranno dominare il mercato mondiale per questa essenziale specie coltivata. Avremo grani con meno o con un diverso glutine (magari usando le nuove tecnologie del genome editing), più resistenti a vari stress ambientali o più adatti al nuovo clima. Il consorzio è guidato da australiani, statunitensi e francesi, ma anche noi potremmo competere per fare nuovi grani adatti al nostro «nuovo» territorio (visti i cambiamenti climatici già in corso). Oppure potremo continuare a importare semi, farine, tecnologie e conoscenze. La Francia, ad esempio, produce dieci volte il frumento prodotto in Italia. Quest’anno la spesa media delle famiglie italiane aumenterà di 45 euro per gli scarsi raccolti di grano. Soprattutto, continueremo a veder partire i nostri giovani talenti verso mete dove hanno capito che investire in conoscenza genera i migliori posti di lavoro e vere opportunità di sviluppo per il Paese. Luoghi dove hanno capito che investire in ricerca è investire nel futuro nostro e del pianeta.