La Stampa, 2 settembre 2018
I 70 anni di Tex Willer, l’Arcitaliano
Nell’autunno del ’48 l’Italia riprendeva fiato dopo un anno faticoso: le elezioni di aprile con la vittoria della prima Dc, l’attentato di luglio a Togliatti, la vittoria di Bartali al Tour che aveva scongiurato in qualche modo il ritorno a una violenza pubblica troppo vicina per essere dimenticata. Era un Paese in cui la sensazione che tutto fosse di nuovo possibile, esplosa alla fine della guerra, andava via via canalizzandosi in un processo di progressiva, e tranquillizzante, normalizzazione.
Anche per questo il 30 settembre, quando si affacciò in edicola un eroe chiamato Tex Willer, era impensabile che stesse per iniziare un’epopea destinata a sconvolgere le regole dell’editoria popolare: inseguire il gusto del momento, pronti a chiudere bottega ai primi segnali di noia e all’arrivo di una nuova moda.
15 lire per 36 pagine a strisce
Il western, allora, era come il fantasy oggi: un mondo affascinante, misterioso e soprattutto irreale. Aurelio Galleppini, il primo disegnatore di Tex, confessò di aver copiato i ranch dalle masserie di Maremma e i canyon dalle Dolomiti e dal Gennargentu. Gianluigi Bonelli, creatore del personaggio e autore dei primi decenni di storie, rivelò al figlio Sergio – suo erede come sceneggiatore e editore – di aver modellato la rudezza di scene e personaggi su alcune realtà della periferia milanese del dopoguerra.«Tex era uno che beveva, fumava, faceva a cazzotti e aveva una concezione della giustizia per così dire sbrigativa. Insomma non era il tipo di fumetto da famiglia», ha detto Giulio Giorello, il filosofo che più di una volta si è occupato senza remore delle storie disegnate.
Tex, in effetti, non voleva inserirsi nella tradizione degli edulcorati fumetti anteguerra, destinati per lo più ai figli della borghesia. Costava poco, appena 15 lire per 36 paginette a strisce: «L’albo più ricco al prezzo più povero», recitavano le locandine pubblicitarie.
Gli attacchi bipartisan
Era un fumetto per il popolo. E questo preoccupava entrambe le anime della politica italiana. Nel ’51 si arrivò a un passo da una legge che avrebbe sottoposto i fumetti a una censura preventiva. «I ragazzi hanno un solo diritto: quello che nessuno aggredisca la loro innocenza e l’integrità della loro coscienza. Questo unico diritto viene leso quando si permette di continuare a scrivere a chi va intingendo la penna nei letamai», tuonava a Montecitorio un giovane deputato democristiano di nome Oscar Luigi Scalfaro. «Decadenza, corruzione, delinquenza dei giovani e dilagare del fumetto sono fatti collegati», assicurava su Rinascita la 31enne Nilde Iotti.
Tex, al centro della polemica, reagì da italiano: adattandosi. «C’era un’indianina con le cosce nude? E noi le ricoprivamo con una maxigonna. C’era una sciantosa scollata? Ci mettevamo un girocollo», ricordava Sergio Bonelli prima della sua prematura scomparsa. «I pugnali furono messi al bando, i morti resuscitarono trasformandosi in feriti gravi».La prudenza durò il tempo di far passare la buriana, ma l’idea tutta italiana di poter essere tutto e il contrario di tutto entrò nel Dna del personaggio: Tex è un uomo di legge ma pur di ottenere giustizia non esita a varcare il confine delle regole. Porta la stella ma non si fida di militari, politici e giudici, che il più delle volte si rivelano corrotti. È un bianco che sposa un’indiana e diventa capo dei Navajo, difende i nativi dai razzisti ma non è schiavo del politically correct: «Quando vede un povero cristo che soffre ingiustamente, lui si ribella e prende le sue parti. Che poi sia nero, bianco o indiano, che sia un contadino o una persona colta, non gliene frega niente», spiegava Gianluigi Bonelli.
Conteso da destra e sinistra
Un compagno un po’ rude o uno «sbirro fascista»? In tutti questi anni, Tex è stato icona dell’Msi e testimonial del Manifesto, paragonato al Di Pietro iconoclasta del ’92, conteso da Destra e Sinistra quando queste parole avevano un senso che andava oltre la nostalgia. Tex è scivolato tranquillo tra un’etichetta e l’altra, ma in una cosa soprattutto, è stato maestro: nella capacità tutta italiana di attraversare il tempo senza cambiare nulla. La sua camicia è sempre gialla, la sua pistola è sempre infallibile, i suoi nemici sempre spietati. E le sue storie, dal Totem misterioso del 1948 all’Ultima vendetta che uscirà venerdì, seguono tutte lo stesso canovaccio. «C’è un reato, o un mistero», scherzava Claudio Nizzi, il più prolifico autore di Tex dopo Bonelli, «Tex se ne occupa, i cattivi tentano di eliminarlo, lui si salva e picchia un gregario per farlo cantare. Poi arriva al capo dei cattivi e lo fa fuori». Settant’anni di successo? Alla fine, nei fumetti come nel Paese, le spiegazioni sono sempre più semplici di quanto sembrino.