La Stampa, 2 settembre 2018
Il piano del Califfo: Colpi devastanti in tutto l’Occidente
L’Isis ha rivisto e ristrutturato la sua organizzazione con sorprendente rapidità e ha adattato persino il suo marketing dopo le disfatte subite a Mosul e Raqqa nello scorso anno. Il califfato non esiste più come spazio territoriale contiguo, la leadership è stata decimata e almeno due terzi dei combattenti è stato ucciso. Il capo supremo Abu Bakr Al Baghdadi è però sopravvissuto al cataclisma, resta al comando ed è anche in buona salute a giudicare dal tono della voce dell’ultimo messaggio. L’audio di 54 minuti contiene una importante novità rispetto ai sette discorsi precedenti. Per la prima volta l’enfasi è posta sugli attacchi all’estero: ai centri di comando, e anche di «informazione», dei Paesi «crociati». In questo l’Isis ora assomiglia molto di più alla vecchia Al Qaeda, che aveva prima elaborato la teoria del «colpo devastante» in grado di mettere in ginocchio l’Occidente e poi quella delle «mille ferite» per dissanguarlo con una miriade di piccoli attentati.
La caduta del califfato
Dopo la caduta delle due capitali dello Stato islamico la dottrina di Al Baghdadi è stata quindi rovesciata. Nel 2014 consisteva nel motto «baqiya wa tatamaddad», «rimanere ed espandersi». I territori conquistati in Siria e Iraq dovevano diventare il nucleo di un califfato in continuo allargamento. Gli attacchi in Occidente, a partire dal 2015, erano solo una risposta ai raid per indurre America ed Europa a non ostacolare le nuove conquiste. Adesso il motto è diventato «rasd wa nikaya» che potremmo tradurre con «osservare, attendere l’occasione giusta, e condurre una campagna di attrito». Questo vale sia per le cellule sopravvissute nel Levante arabo che per quelle infiltrate in Occidente. In Siria e in Iraq negli ultimi mesi c’è stata una escalation di attacchi, anche massicci, che hanno fatto centinaia di vittime, come durante la campagna del 2013-2014 che fu il preludio alla creazione del califfato.
Dopo un lungo black out la propaganda è risorta. Alla fine dell’anno scorso la produzione di opuscoli e video si era quasi oscurata. Ora, a luglio, sono stati messi in Rete una dozzina di video e i messaggi continuano a incitare i sostenitori che vivono in Europa. Dopo l’audio di Al Baghdadi c’è stato un sospetto attacco a Parigi e uno ad Amsterdam. Colpi non organizzati, certo, ma la rete islamista nel Vecchio continente non è del tutto smantellata. All’apice della sua potenza l’Isis contava su 100-150 mila combattenti, dai 40 ai 60 mila stranieri, compresi almeno cinquemila europei.
Un esercito in movimento
Adesso, secondo le Nazioni Unite e i servizi americani, tra Siria e Iraq sono rimasti 20-30 mila miliziani locali e qualche migliaio di foreign fighters. Dei combattenti stranieri arrivati fra il 2014 e il 2015 almeno un terzo è sopravvissuto, quelli catturati sono poco più di mille. Dai 10 ai 15 mila hanno preso la strada verso Libia, Sinai, Afghanistan, Indonesia ed Europa. Non sono state ancora pubblicate stime ufficiali di quanti sono riusciti a tornare nei Paesi europei, ma sono certamente centinaia. Alcuni senza più voglia di combattere, altri sì.