3 settembre 2018
Corsivi e commenti

Brindisi
Corriere della Sera
Lo sventurato festeggiò. A Livorno, al telefono, c’era chi si diceva pronto a brindare per l’alluvione del settembre 2017 che provocò otto morti: sacchi di sale pagati a peso d’oro, la gara per il servizio di allerta meteo truccata. E intercettazioni con una frase agghiacciante: «Brinderemo all’alluvione». C’è questo e altro nelle accuse che hanno portato agli arresti di Riccardo Stefanini, ex coordinatore della protezione civile del Comune di Livorno (già nei guai per l’accusa di peculato) ed Emanuele Fiaschi, imprenditore e titolare della ditta Tecnospurghi. Qualcosa del genere era già successo a L’Aquila per il terremoto del 2009. Francesco Piscicelli e suo cognato Pierfrancesco Gagliardi ridevano alla notizia del terremoto che aveva appena devastato L’Aquila, parlando degli «affari» che si sarebbero potuti fare in Abruzzo con la ricostruzione. Altre sinistre risate sono state intercettate in Emilia, dopo il terremoto del 2012: le cosche calabresi pregustavano i soldi della ricostruzione. A Genova, qualcuno sta ridendo? Ormai, di fronte alle immani tragedie, non c’è più ritegno, non c’è più rispetto: il sipario è sempre aperto. Ma questi sono solo sventurati che ridono delle sventure altrui? Sono solo delinquenti che cercano di trasformare i disastri in opportunità? Sì, certo. Mai dimenticare, però, che le grandi fortune di alcuni — tutte, o quasi tutte — nascono da una rovina altrui.
Aldo Grasso
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la Repubblica
Già ci si annoiava a morte, ai tempi, quando l’amico tornato dalle vacanze ti costringeva a vedere centinaia di diapositive (tutte uguali); o quando la zia molto anziana insisteva per sfogliare insieme a te gli album delle fotografie di famiglia (tutte uguali). Ora le saghe social replicano all’infinito l’immaginetta umana, Io in bicicletta, Io in pizzeria alle Tremiti, Io con la fidanzata/o mentre ci diamo i bacetti, Io che mi impersono ventiquattro ore al giorno, come se fossi sotto contratto. Che sia Fedez il contrattualizzato, pazienza, è il suo mestiere, è uno dello star system. Che sia Matteo Salvini, il pupazzetto social di sé stesso, è un poco più sorprendente, perché sarebbe il ministro degli Interni, il ministro di Polizia, che uno immagina intento ai tabulati, alle telefonate delicate, ai segreti di Stato, alle riunioni che contano, e invece è sempre lì, con la sua barba e il suo nasone, il suo profilo levantino, onnipresente e ripetitivo come il povero Mario defunto negli album delle vecchie zie, come il suggestivo villaggio greco nelle diapositive delle vacanze.In entrambi i casi, comunque, quello proprio (Fedez) e quello improprio (Matteo), si capisce bene che qualcosa cambierà veramente, nel futuro dell’umanità, solo nell’attimo in cui riprenderà spazio, nella vita delle persone, la cura del proprio tempo quotidiano e delle proprie incombenze materiali, il rispetto dei propri tempi e dei propri problemi. «Scusami, ma non ho neanche mezzo clic da dedicarti perché ho cose più importanti da fare» sarà lo slogan rivoluzionario del futuro.Michele Serra