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 2018  settembre 02 Domenica calendario

Crediti agli studenti Usa, il rischio di un altro default

C’è una nuova bolla finanziaria che si aggira sui mercati mondiali e ha la stessa origine della precedente che ha causato la peggiore crisi economica dal Dopoguerra. Dopo il clamoroso default dei mutui immobiliari (e derivati annessi), sempre negli Stati Uniti sta crescendo una gigantesca esposizione legata ai prestiti concessi ai giovani che vogliono completare l’istruzione universitaria. Nonostante un parziale rallentamento dell’ultimo anno, l’ammontare dei crediti concessi ha raggiunto un nuovo record storico: ben oltre i 1.500 miliardi di dollari. Per dare un metro di riferimento, è come se nelle banche americane ci fossero crediti a rischio pari a oltre la metà del debito pubblico italiano.
Un pericolo ciclicamente denunciato da analisti finanziari e osservatori politici, dovuto al fatto che i giovani fanno sempre più fatica a restituire i soldi presi in prestito. Per una serie di motivi. Il primo è il costante aumento delle tasse universitarie nonché dei costi che si devono sobbarcare per master e specializzazioni. Il secondo motivo è legato all’aumento della forbice dei salari che premia le fasce alte dei lavoratori e penalizza sempre di più la classe media, con conseguente crollo dei guadagni di quest’ultimi anche quando sono in possesso di una laurea. Terzo punto: l’aumento delle iscrizioni ai corsi universitari, anche grazie alle politiche delle banche che offrono prestiti anche a quelle famiglie che non sono in grado di fornire garanzie sufficienti, esattamente come era accaduto per la bolla dei mutui immobiliari.
Se a tutto ciò si unisce il venir meno del governo federale, nel corso degli anni, come finanziatore degli studi ai più meritevoli, ma provenienti da classi sociali in difficoltà, si ottiene un risultato a dir poco allarmante: la stragrande maggioranza di chi ricorre a un prestito non riesce a restituirlo ed è costretto a continui rifinanziamenti. In pratica, chi è in difficoltà ottiene di farsi ridurre la rata ma è costretto ad allungare il periodo in cui rimane legato al suo debito.
Il commento di un analista citato dal Financial Times solo pochi giorni fa è significativo: «Una consistente quota della generazione dei millennials ha fatto bancarotta ancora prima di iniziare a produrre ricchezza e questo si configura come una minaccia nel lungo periodo per lo stato di salute dell’economia americana».
È pur vero che il tasso di insolvenza dei prestiti universitari nel secondo trimestre dell’anno è calato dell’ 8,8 per cento, ai livelli più bassi degli ultimi dodici anni, secondo i dati della New York Federal Reserve. Ma questo è dovuto soprattutto al ciclo positivo dell’economia (che ha la sua massima rappresentazione nel record storico raggiunto da Wall Street) e nei tassi di occupazione che premiano in particolare chi ha un titolo di studio avanzato.
Ecco perchè, per molti analisti, lo scoppio della bolla è per ora solo rimandato: l’ammontare dei debiti universitari – nonostante gli ultimi dati in controtendenza – rimane pur sempre il settore con il peggior dato di insolvenza di tutto il credito al consumo. Basterebbe un rallentamento dell’economia per innescare una nuova crisi finanziaria: il think tank economico Brookings, in un report di qualche mese fa, dopo aver esaminato l’andamento dei default degli ultimi anni, ha stabilito che il 40 per cento di chi ha un prestito legato agli studi potrebbe andare in default entro il 2023.
Due anni fa, il governo federale è intervenuto con un piano per soccorrere gli studenti/ lavoratori in difficoltà, subentrando nei pagamenti e recuperando i soldi anticipati con i primi guadagni dei giovani. Ma come si legge in un report di Standard& Poor’s di pochi giorni fa, così si sposta solo il problema ( dai cittadini alle finanze pubbliche), ma non si sgonfia la bolla. Che incombe sempre al suo record storico.