Corriere della Sera, 1 settembre 2018
«La rosa purpurea...», quando Mia Farrow era la star di Allen
Woody Allen spesso parla dei suoi gusti di cinema, della Hollywood che fu ed dei film europei di Fellini e Bergman che tanto ama e verso cui si protende. Ma se c’è un film che spiega esattamente cosa significa il cinema per lui, la riserva di umanità e poesia che contiene, è La rosa purpurea del Cairo, ‘85, girato dopo Broadway Danny Rose e prima di Hannah e le sue sorelle. Era l’epoca di Mia Farrow superstar e si sa poi come finì, ma l’attrice, è qui bravissima nello schizzare una comune cameriera del New Jersey sposata con un volgarone trash che, durante la Grande Depressione, trova conforto nel buio del cinema, andando a vedere tutti i giorni La rosa purpurea del Cairo.
Quando finalmente un pomeriggio il personaggio dell’esploratore (Jeff Daniels) guarda dallo schermo in sala e si accorge di quella ragazza sempre presente e la invita ad entrare con loro nella fiction e scende a prenderla. Sarà amore? Vince realtà o finzione? In sottofondo pirandelliano, vale di più l’attore o il personaggio? Il 13mo titolo di Allen (ora siamo oltre 50), personalmente sceneggiato, traduce in fantasy le urgenze esistenziali e il cinema fa da trampolino di lancio verso il sogno: soli, nel buio, si sa che è l’esperienza più somigliante al sogno.
Naturalmente la trovata del fuori e dentro lo schermo (la sperimentò pure Gore Vidal in Myron ma usando la tv) è un divertimento cinefilo, specie quando il personaggio se ne va dallo schermo mettendo in moto situazioni irresistibili e imbarazzanti nel cast in attesa, ma la confezione dell’opera ha grinze di malinconia molto visibili.
Omaggio al valore della fantasia, all’immaginario collettivo (ma anche allora la sala era mezza vuota…), al bisogno di evasione, un patrimonio di tristezza che la Farrow, alter ego del regista, esprime teneramente, accarezzata dalla fotografia del maestro Gordon Willis.
(La rosa purpurea..., di Woody Allen, 1985, Sky Cinema Classic, ore 21)