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 2018  agosto 31 Venerdì calendario

L’Inferno di Clouzot

Esterno giorno. Romy Schneider ride sulla scia di un motoscafo. Quella sua risata con la testa inclinata, dall’allegria struggente. Romy che lancia baci e mostra la lingua mentre fa lo sci d’acqua sul lago. Sembra una ripresa amatoriale per fermare un giorno sereno d’estate. Poi tutto cambia. Un uomo la osserva fermo su un parapetto. I lineamenti del volto sono contratti. La pellicola ha dei flash di colore che s’impongono sul bianco e nero iniziale. Quando i fotogrammi assumono tonalità irreali – l’acqua rossa, le labbra viola – l’attrice improvvisa uno slalom che è una danza di richiamo sessuale sull’acqua, ancheggia frenetica e si abbandona estatica. E l’uomo – che è Serge Reggiani – corre a perdifiato sulla strada in alto sulle rive del lago in un inseguimento impossibile della barca e della ragazza; i suoi occhi sono abbagliati dalle immagini del tradimento.Henri-Georges Clouzot, soprannominato l’Hitchcock francese, partiva sempre da un’immagine per costruire i suoi film. Dall’immagine di un treno su cui era salito, nella Francia appena liberata dai nazisti, era nata l’idea per Manon, un adattamento della novella settecentesca dell’Abbé Prevost nella Francia del dopoguerra. L’immagine di una donna sull’acqua aveva forse fatto da suggerimento interiore per L’Enfer, progetto ambizioso e demoniaco di opera assoluta, in cui dovevano coabitare arte visiva d’avanguardia, musica concreta, psicologia del profondo, distorsioni della percezione, richiami letterari. E, naturalmente, il grande thriller cinematografico, quello che aveva reso famoso il maestro francese grazie ai successi del Salario della paura e I Diabolici. Il film che ha in mente è un gioco di rifrazioni, diviso tra la realtà e l’immaginazione morbosa di un marito geloso fino alla follia. 
L’Enfer, girato e interrotto nel 1964, mai finito, è per alcuni un capolavoro mancato per sfortuna; per altri, quel che resta di un incubo. Per Serge Bromberg, che ha recuperato le bobine con il girato e lo story-board e ha montato il materiale insieme ad interviste alla troupe in un documentario presentato a Cannes nel 2009 (L’Enfer d’Henri-Georges Clouzot co-diretto con Ruxandra Medrea), Clouzot ha costruito un labirinto e ci si è perso dentro. 
L’ossessione del regista per questa storia ha un’origine lontana. Poco più che ventenne, aveva convissuto all’Hotel Proust, a Parigi, con una ragazza. Bene, l’azione del film si svolge in un albergo sulle rive di un lago nel sud della Francia. La coppia del suo inferno ha i nomi di Marcel e Odette, come l’autore di Alla Ricerca del Tempo Perduto e uno dei personaggi principali, oggetto della passione gelosa e malata di Swann. Però il personaggio di Romy Schneider assomiglia di più ad Albertine, la ragazza amata dal Narratore della Recherche, che di lei è tanto geloso da chiuderla in una stanza nel volume intitolato La Prigioniera. Giacomo Debenedetti in un acuto saggio su Proust ha svelato come sotto i panni di Albertine si nasconda il diavolo. Il Marcel del film arriva a legarla a letto la sua donna. Nel volto scavato di Reggiani danzano le ombre. In una scena cerca di toccare il corpo di Odette che dorme, ma non riesce, come se fosse rinchiuso in una teca invisibile. La obbliga a prendere dei sonniferi per farla dormire, come Clouzot aveva fatto davvero con Brigitte Bardot sul set de La Verité, usando un trucco che fece infuriare la diva.
Clouzot ha una fama sulfurea nell’ambiente cinematografico francese. Da maniaco del controllo. Tormenta gli attori e soprattutto le attrici, arriva a sculacciarle sul set. Secondo Reggiani era un po’ misogino. Ma lo stesso attore disertò la lavorazione de L’Enfer con la scusa di aver contratto la febbre maltese, in realtà per le corse da centometrista a cui il regista lo costringeva all’inseguimento della partner. Sempre a piedi, dietro macchine e barche. Tra Clouzot e Schneider invece è un idillio allucinato. Lui le dedica ore di camera tests: Romy che rotea gli occhi, che ride follemente, che esala fumo dalla bocca, che fa traboccare un bicchiere, Romy che mima giochi autoerotici con una molla slinky. Non è mai stata tanto lontana dalla principessa Sissi. Grazie ai giochi di luce e alle inversioni di colore, il regista trasforma il corpo dell’attrice, lo rende fantasmatico e ipnotico. Lei, con l’interpretazione, riesce a moltiplicare gli effetti speciali. Alcune immagini hanno un’intensità quasi insostenibile. Dovrebbe essere la rappresentazione dello sguardo impazzito di Marcel. Ma ci sono degli enigmi. Le visioni soggettive che Marcel ha di Odette sono a colori; le riprese della realtà, in bianco e nero. Perché allora è in bianco e nero la scena della protagonista legata nuda alle rotaie mentre una locomotiva a vapore sta per farla a pezzi? I treni a vapore erano già in disarmo e il contratto della Schneider escludeva le scene di nudo. Il film sembrava diventato un gioco a due, tra Clouzot e la sua attrice.
Eppure erano stati proprio quei test, visionati dai produttori della Columbia Pictures, ad assicurare al film un budget illimitato. L’Enfer doveva essere una risposta a 8 ½ di Fellini e una sfida ai giovani leoni della Nouvelle Vague che consideravano antiquato il cinema di Clouzot. Lui voleva dimostrare che era più avanti di loro. Si interessava di arte cinetica e di optical art. Sul set aveva come collaboratori Costa-Gavras e Willie Lubtchansky, all’inizio delle loro carriere. Però andò tutto storto. Lo svuotamento annunciato del lago per un progetto idroelettrico costrinse le due troupe e il regista a ritmi forsennati. Clouzot ebbe un infarto mentre girava una delle scene più torbide – un gioco erotico a tre con un’amica e il pilota del motoscafo. Se la cavò, ma il film fu cancellato. 
Interno notte. Odette piange seduta sul letto, guardando il marito, che sogna tormentato. Non sappiamo come Clouzot avrebbe montato il suo puzzle. Certo, aveva lavorato solo tre settimane; per chiudere Il Salario della paura gli ci vollero due anni. Claude Chabrol recuperò il soggetto nel 1994, un buon film dallo stesso titolo, ma privo delle ambizioni e degli abissi del modello. Nel ’68, Clouzot riprese i temi proustiani e gli effetti ottici nel suo ultimo lavoro, La Prisonnière. Ma mancava Romy Schneider. Il risultato è sperimentazione senz’anima, dannata o meno. Morì nove anni più tardi, mentre ascoltava, secondo una leggenda, le note della Damnation de Faust di Berlioz.