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 2018  agosto 31 Venerdì calendario

Spread in salita, ecco perché pagheranno i cittadini

Meno mutui (e più cari), meno soldi alle imprese e una sforbiciata ai risparmi di casa. La marcia silenziosa dello spread – salito di 164 punti da maggio a ieri – non costa caro solo allo Stato italiano. Il Tesoro – ai rendimenti attuali – pagherà in un anno quasi 5 miliardi di interessi sul debito in più. Una bolletta salata però, se non ci sarà presto una schiarita, è in arrivo anche per famiglie e aziende tricolori.
Le prime crepe nei portafogli dei risparmiatori sono già evidenti: Piazza Affari ha perso il 14% da maggio (contro il -3% delle Borse europee e il + 7% di Wall Street), mille euro di valore di Btp a dieci anni si sono ridimensionati in quattro mesi a 900. Il peggio però – salvo inversioni di rotta – rischia di arrivare a breve quando l’effetto-domino partito dai rialzi dei rendimenti sui circuiti telematici e transitato con danni collaterali sui bilanci di banche e assicurazioni presenterà il conto agli italiani e alle imprese di casa nostra.
Il percorso dello schiacciasassi-spread verso le tasche degli italiani è già iniziato e da maggio ha fatto un bel pezzo di strada. Lo Stato italiano – per vendere un titolo decennale – è stato costretto ieri a garantire agli investitori un rendimento del 3,25%, contro l’1,7% che pagava a fine aprile. E il valore di questo bond sul mercato è sceso da 102 a 90. Il primo effetto-collaterale concreto delle fibrillazioni legate al rischio-Italia è stato sulle banche. I problemi degli istituti sono due: il primo è che un quarto della loro raccolta di liquidità (i soldi di cui hanno bisogno per funzionare) avviene sui mercati all’ingrosso dove i tassi sono cresciuti in maniera direttamente proporzionale ai Btp. Il secondo è che nei loro portafogli ci sono 355 miliardi di titoli di Stato italiani (altri 315 li hanno le assicurazioni), il 19% del nostro debito pubblico complessivo.
Un “tesoretto” il cui valore contabile – in base alle rigidissime regole del settore imposte dopo il crac Lehman – deve essere aggiornato alle quotazioni di mercato, bruciando capitale e margini di manovra per l’attività creditizia. Risultato: le banche spendono più soldi per raccogliere fondi mentre le perdite sui Btp – come hanno dimostrato gli ultimi bilanci semestrali – hanno già eroso il capitale e i fondi a disposizione per i prestiti. E a questo punto dopo sei mesi – almeno così è stato durante la crisi del 2011 – il cerino del caro-spread passa nelle mani di correntisti e aziende.
Il passaggio del testimone segue una via lineare: gli istituti di credito stringono i cordoni della borsa per rispettare i requisiti di capitale e sono più restii a concedere prestiti. E quando li garantiscono, lo fanno a costi superiori, per recuperare i soldi in più pagati per raccogliere la liquidità. E a saldare il conto sono i clienti. I mutui per la casa in essere sono legati all’Euribor che, per fortuna, non è sensibile ai balzi d’umore per lo spread. E infatti fino ad oggi sono rimasti al palo. Ma chi dovrà farne di nuovi si troverà con ogni probabilità di fronte a condizioni e commissioni meno favorevoli di qualche mese fa.
Nel 2011 quando lo spread viaggiava a quota 500, calcola il Crif, le rate dei mutui casa sono cresciute del 4%. Un aumento di 100 punti base del tasso di riferimento fa salire da 700 a 820 euro circa la rata mensile per un prestito a 20 anni da 150mila euro.
Problemi simili rischiano di affrontarli pure le aziende. Nel 2011 la crisi è costata all’Italia spa un sovrapprezzo da 15 miliardi di maggiori interessi sui debiti. E la stretta sui rubinetti del credito ha ridotto di molto il volume dei prestiti concessi dalle banche, che ancora oggi sono inferiori del 15% circa rispetto una decina di anni fa.
Le imprese hanno un guaio in più: la loro attività quotidiana è finanziata anche con l’emissione di bond sul mercato. E il prezzo di questo strumento è già salito esattamente come il Btp. Telecom ha dovuto pagare 50basis point in più con una recente emissione, persino una banca solida come Intesa Sanpaolo ha visto salire i tassi sulla sua ultima obbligazione.
La valanga dello spread ha così completato il viaggio dai mercati alle tasche della gente comune. E da li, come un virus, rischia di contagiare tutta l’economia: riducendo i consumi, frenando i conti delle imprese, costringendo le banche ad aumenti di capitale, mettendo a rischio i conti di un Paese con oltre 2.200 miliardi di debito pubblico. Il copione l’abbiamo già vissuto una volta sette anni fa. E nessuno, indipendentemente dal colore politico, ha voglia a questo punto di concedere un bis.