Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  agosto 30 Giovedì calendario

Il calabrone killer

Con quella gonna a tubino che indossano, di un giallo caldo come il grano, sarebbero anche belli i calabroni. Ma ronzano, sono pelosi, e la loro puntura è un disastro. Tanto che le api, di cui i calabroni si nutrono perché sono carnivori, più piccole e molto meno armate, sono diventate matte a difendersi, finché si sono inventate una tecnica: li arrostiscono. Un alveare può subire fino a trenta attacchi alla settimana da parte dei calabroni, che riescono a far fuori anche 40 api al minuto. Alle api non piace, ovviamente, ma il loro pungiglione non può nulla: la corazza dei calabroni è troppo rigida. Ma dove il fisico non arriva, arriva l’ingegno. E un alveare di api è un cervello collettivo superintelligente. Fanno così: centinaia di api operaie circondano l’intruso, con i loro corpi formano una palla e vibrano le ali all’unisono, finché la temperatura all’interno della sfera che hanno costruito diventa rovente, fino a 46 gradi, e dopo mezzora il calabrone muore, cotto. La scoperta, dell’entomologo giapponese Atsushi Ugajin, è stata pubblicata dalla rivista Behavioral Ecology and Sociobiology. Ma noi umani ci siamo ancora lontani: oltre 5 milioni gli italiani vengono punti ogni anno e i decessi sono dai 10 ai 20 all’anno, per reazione allergica al veleno. Ultimo in ordine di tempo a morire di choc anafilattico è stato Franco Ghiberti, 69enne di Roteglia di Castellarano (Reggio Emilia), punto due giorni fa nel giardino della casa delle vacanze, a Monchio di Palagano, nell’Appennino modenese. I calabroni, il nome scientifico è Vespa crabro, è il più grosso della famiglia dei vespidi europei e nordamericani. È prevalentemente carnivoro, anche se non disdegna la polpa della frutta. E infatti tra le persone più a rischio ci sono apicoltori, giardinieri, agricoltori, tutti coloro che svolgono il lavoro all’aria aperta, in campagna o nei boschi. I calabroni realizzano i loro nidi modellando una poltiglia di carta che ottengono masticando il legno e trasformandolo grazie alla saliva. A dominare gli alveari sono, come per le api e le vespe, le regine; mentre i calabroni ‘normali’ sono asessuati e si occupano di costruire l’alveare, raccogliere cibo, nutrire i giovani e proteggere la colonia. Ci sono anche dei maschi che hanno un unico ruolo: l’accoppiamento con la regina, e muoiono poco dopo aver eseguito il loro compito. 

SUSCETTIBILI
I calabroni non sarebbero nati ‘killer’ e quindi, a meno che non siano provocati, di solito si fanno gli affari loro. Sono però animali molto suscettibili e se si sentono minacciati (lo sanno loro quando, a noi viene difficile interpretarli), attaccano. Per questo, è importante la disinfestazione, ma è meglio rivolgendosi agli esperti, a meno di non voler combinare un disastro come quello successo a Bovisio Masciago, dove una donna, a fine luglio, si è accorta di avere un nido, magnifica opera di ingegneria, sul suo terrazzo, ha spruzzato dell’alcool e ha appiccato un fuoco. A eliminare il nido c’è riuscita, ma ha anche dato fuoco al tetto della palazzina. Il calabrone più stronzo è quello asiatico, la Vespa mandarinia, ed è anche il più grosso, un mostro che arriva anche a 5 centimetri di lunghezza. In Cina sta seminando il panico: nella provincia dello Shaanxidove, nel nordovest del Paese, sono morti in 42 e da luglio sono state attaccate oltre 1.600 persone. «Il problema di questo calabrone sono le sue dimensioni, è grande come un pollice, e il fatto che sia carico di veleno lo rende molto pericoloso», riferisce l’entomologa Lynn Kimsey, della University of California. Un altro entomologo, Maurizio Biondi, docente di zoologia all’Università dell’Aquila, spiega che il calabrone fa molti più morti della vipera, tuttavia «le api e le vespe e i loro parenti non pungono se non si fanno movimenti strani. Il nostro istinto è di fare degli scatti, ma, al contrario, bisogna mantenere il controllo e la calma. La prima cosa da fare è cercare di non uccidere l’insetto. Il calabrone, infatti, è una delle poche vespe che reagisce. Nel caso di un insetto in casa», conclude Biondi, «bisogna allontanarsi, aprire le finestre, spegnere le luci, magari accendendo quelle esterne per attirarlo fuori».

FA BENE AL VINO E se il loro ronzio ci fa pensare che la loro esistenza è la prova della non esistenza di Dio, o quantomeno, del suo sarcasmo, sappiate che è solo merito loro se esiste il vino: i lieviti della fermentazione, infatti, sono trasportati degli insetti, calabroni inclusi. A studiare questo fenomeno è stato un team di professori italiani che lavorano per le università di Firenze, Trento e Montpellier: «Durante lo svernamento le regine possono ospitare cellule di lievito e le trasmettono alla loro progenie». Quando i calabroni forano la buccia dell’uva, quindi, partecipano al sapore che avrà il vino una volta imbottigliato. Secondo Anna Pringle, biologa evoluzionista di Harvard, «i grandi vini hanno bisogno degli insetti. Se volete avere la vostra uva fermentata da lieviti locali, e non aggiunti, bisogna avere queste bestiole in giro». Ultima cosa: la diceria che «secondo la fisica il calabrone non potrebbe volare. Eppure vola», è falsa. La colpa è di un entomologo francese, Antoine Magnan, che negli anni Trenta calcolò in modo sbagliato il rapporto tra il peso dell’insetto e le dimensioni delle ali.