Corriere della Sera, 30 agosto 2018
«In Italia i vecchi sono meglio dei giovani». Intervista a Thomas Leoncini
Thomas Leoncini, 33 anni, ha scritto un libro con Zygmunt Bauman (Nati liquidi, Sperling & Kupfer, 2017) e, ora, uno con papa Francesco (Dio è giovane, Piemme). Il primo, è stato tradotto i 12 lingue, il secondo è in pubblicazione in tutto il mondo. Ha passato l’estate a rilasciare interviste, alle tv messicane, ai giornali brasiliani, spagnoli, tedeschi… Ai francesi, per dire, sul Nouvel Observateur, ha spiegato che «Matteo Salvini è il Donald Trump dei poveri». Dice: «Mi sento un “migrante psicologico”. Anche se vivo in Italia, i maggiori riscontri del mio lavoro non li raccolgo nel mio Paese». Qui, a lungo, racconta, «senza santi in paradiso, ho preso solo porte in faccia», finché non gli ha dato fiducia il polacco Bauman, filosofo, sociologo, un gigante del pensiero.
È un difetto italiano non prendere sul serio i giovani?
«No. Siamo tutti esotisti e anche all’estero chi è straniero riscuote più interesse. La differenza è che qui i giovani vivono interminabili inizi che non portano mai a logiche conclusioni».
Come è riuscito a convincere il Papa e Bauman a scrivere con lei?
«Con l’autenticità: ho detto quello che pensavo. Ho faccia tosta e un coraggio che non sfocia nell’incoscienza. Prima, volendo fare lo scrittore, mi ero sentito dire le peggiori cose, poi ho capito che gli adulti non possono essere dalla parte dei giovani perché, nei giovani, odiano le promesse che non sono riusciti a mantenere per se stessi. Mentre con i vecchi, questa competizione non c’è».
La peggior cosa che le hanno detto?
«Non sono più rappresentativo di tanti giovani italiani considerati in esubero, neanche disoccupati. E che, se non sono “di buona famiglia”, non vengono considerati. Quando ho proposto il libro con Bauman, ho trovato editori che non si spiegavano perché dovessi firmarlo con lui. Questo è un Paese che ha contrabbandato l’avere con l’essere, il risultato è che hai una laurea, ma non esiste una strada. Esistono solo percorsi individuali».
Il suo quale è stato?
«Vengo da un paesino vicino a Massa Carrara, da una famiglia e un’adolescenza non sereni. Volevo studiare Filosofia, ma sono dovuto andare a lavorare. Ho fatto il commesso per due anni, leggendo ogni libro che trovavo sulla malvagità, non mi faccia spiegare perché, ma mi chiedevo se malvagi si nasce o si diventa. L’unica risposta l’ho trovata in Modernità e Olocausto di Bauman, del quale mi sono innamorato. Gli ho scritto, l’ho avvicinato alle conferenze, è nato un rapporto. Intanto, ero riuscito ad andare all’università, a laurearmi in Psicologia, avevo pubblicato poesie».
Quanto è fondamentale l’adulazione avvicinando un adulto di potere?
«Se non è sincera, zero. Diventa goffaggine. Ai giovani consiglio di adulare solo quelli in cui credono davvero».
Lei ha adulato?
«Certo. Bauman e il Papa li ho chiamati mio maestro, mia guida, ma hanno sentito la mia sincerità. Sentivano che mi formavano a un pensiero che era in me, ma che senza di loro non capivo. Dell’adulazione ho parlato anche col Papa, che mette in guardia dal rischio che si trasformi in seduzione. E l’adulazione non serve se, poi, non hai le capacità. Sia Bauman sia il Papa, quando ho fatto la proposta mi hanno detto “proviamo”, non “facciamolo”».
E come sono state le prove?
«A Bauman faticavo a star dietro. Scriveva anche tre email al giorno, io dovevo tenere il passo e temevo di far brutta figura. Dovevamo lavorare incontrandoci, ma si è ammalato. A me non veniva in mente che, a 91 anni, potesse morire. Non gli avevo neanche fatto firmare il contratto, ma dopo la sua morte, moglie, figlie e agente l’hanno firmato in un giorno: l’avevano visto lavorarci fino all’ultimo».
E il Papa?
«L’ho conosciuto dopo avergli chiesto un’udienza privata. Aveva ricevuto Nati liquidi, l’udienza doveva durare dieci minuti, è durata un’ora e mezzo. Abbiamo parlato dei giovani, gli ho detto che sarebbe stato bello fare un libro insieme e ha riso, ma ha detto che ci avrebbe pensato. Mi ha richiamato un mese e mezzo dopo. Ci siamo visti a Santa Marta, ho iniziato a intervistarlo. Ci siamo incontrati sei volte. Il titolo è clamoroso: dire che Dio è giovane significa dire che, se non aiuti i giovani, rifiuti Dio».
Come descrive i suoi coetanei?
«È falso che siano oziosi e dediti solo alle app: si fingono rinunciatari per non sentirsi scartati dalla società».