30 agosto 2018
Corsivi e commenti

Cojoni
Corriere della Sera
L’urlo televisivo di Ciccarelli Ivano contro «sta rottura de cojoni dei fascisti» è la nuova Corazzata Potemkin, la fine del matrimonio innaturale tra la sinistra e le buone maniere. Il vocione di Ivano è risuonato su La7 da Rocca di Papa, dove davanti al centro di accoglienza che ospita i reduci della «Diciotti» si fronteggiano rossi e neri come in uno spettacolo in costume ambientato nel secolo scorso: «Sti poracci, oltre a tutta la navigata, la sosta e dieci ore de pullman, quando arrivano qua se devono pure godé sta rottura de cojoni dei fascisti». Tanto è bastato perché sul web, in poche ore, Ivano diventasse l’idolo di quella porzione d’Italia smarrita che il 4 marzo ha votato Di Maio, o nessuno, proprio per mancanza di Ivani.
L’urlo televisivo di Ciccarelli Ivano contro «sta rottura de cojoni dei fascisti» è la nuova Corazzata Potemkin, la fine del matrimonio innaturale tra la sinistra e le buone maniere. Il vocione di Ivano è risuonato su La7 da Rocca di Papa, dove davanti al centro di accoglienza che ospita i reduci della «Diciotti» si fronteggiano rossi e neri come in uno spettacolo in costume ambientato nel secolo scorso: «Sti poracci, oltre a tutta la navigata, la sosta e dieci ore de pullman, quando arrivano qua se devono pure godé sta rottura de cojoni dei fascisti». Tanto è bastato perché sul web, in poche ore, Ivano diventasse l’idolo di quella porzione d’Italia smarrita che il 4 marzo ha votato Di Maio, o nessuno, proprio per mancanza di Ivani.
Ivano incarna anche fisicamente una sinistra «vintage»: la barba da assemblea, la maglietta sformata, l’eloquio rude e il cuore tenero. È figlio di un operaio e di una contadina dei Castelli Romani che gli hanno insegnato — dice — il rispetto per i più deboli. Il contrasto con i liderini democratici di ultima generazione — camicia immacolata, cravattina scura, smania di riconoscimento sociale e linguaggio raffreddato dagli scrupoli del politicamente corretto — non potrebbe essere più schiacciante. Mentre i politici di destra parlano come i loro elettori, quelli di sinistra non parlano più come Ivano né soprattutto a Ivano. Per questo parlano invano.
Massimo Gramellini
***
Opposizione
la Repubblica
Esiste un’opposizione politica credibile? Come dice il poeta, lo scopriremo solo vivendo.
Nel frattempo, dopo la bella e importante manifestazione milanese di martedì contro il summit Salvini-Orbán, sappiamo che esistono, in buon numero, degli oppositori, e non è una notizia da poco. L’impressione è che i partiti e le sigle che avevano convocato la manifestazione (Cgil, Pd, Anpi), e i tanti altri raggruppamenti che hanno semplicemente aderito, abbiano tacitamente adottato un basso profilo, accettato l’ordine sparso, riconosciuto il primato dei cittadini, dato per scontato che nessuna pretesa “di bandiera” può reggere l’urto con una realtà già minacciosa, e potenzialmente pericolosa.
Forse quello che si dice degli italiani — danno il meglio di sé solo nell’emergenza — vale anche per la sinistra italiana. Miracolosamente disposta a non scannarsi, improvvisamente cosciente di quanto penoso e ridicolo sia l’odio intestino tra le fazioni che la compongono: vedasi i polli di Renzo. O forse è solo l’illusione di un momento (felice) vissuto in un pomeriggio milanese, senza che nessun capotribù abbia preteso di dare lezioni o distribuire patenti di legittimità. Chissà quanto dura, e se dura. Chissà quanto regge la lezione (apparentemente ovvia) di sabato: ciò che divide non è mai importante come ciò che unisce.
Michele Serra
Nel frattempo, dopo la bella e importante manifestazione milanese di martedì contro il summit Salvini-Orbán, sappiamo che esistono, in buon numero, degli oppositori, e non è una notizia da poco. L’impressione è che i partiti e le sigle che avevano convocato la manifestazione (Cgil, Pd, Anpi), e i tanti altri raggruppamenti che hanno semplicemente aderito, abbiano tacitamente adottato un basso profilo, accettato l’ordine sparso, riconosciuto il primato dei cittadini, dato per scontato che nessuna pretesa “di bandiera” può reggere l’urto con una realtà già minacciosa, e potenzialmente pericolosa.
Forse quello che si dice degli italiani — danno il meglio di sé solo nell’emergenza — vale anche per la sinistra italiana. Miracolosamente disposta a non scannarsi, improvvisamente cosciente di quanto penoso e ridicolo sia l’odio intestino tra le fazioni che la compongono: vedasi i polli di Renzo. O forse è solo l’illusione di un momento (felice) vissuto in un pomeriggio milanese, senza che nessun capotribù abbia preteso di dare lezioni o distribuire patenti di legittimità. Chissà quanto dura, e se dura. Chissà quanto regge la lezione (apparentemente ovvia) di sabato: ciò che divide non è mai importante come ciò che unisce.
Michele Serra
***
Re Papa
La Stampa
Una solida differenza fra Umberto Bossi e Matteo Salvini è che il primo faceva folclore, il secondo no. Il primo affratellava i padani all’osteria del dio Po, il secondo coi rosari e con le bibbie ascende al comizio liturgico. Che cieche ironie su quei rosari e quelle bibbie. Era invece la consacrazione della politica a una fede, e cioè era il sovranismo che prometteva di difendere i confini, ma anche un’idea di cattolicesimo, e da un nemico comune. Gli immigrati - in una visione di un mondo sappiamo quanto ampio - non soltanto delinquono e ciondolano e sporcano, non soltanto sono una minaccia per le nostre case e il nostro lavoro, sono anche l’ombra di artiglio sulla nostra identità spirituale. È il complotto della sostituzione etnica e culturale, ma anche della sostituzione religiosa. Dentro la Chiesa e fra i fedeli c’è una porzione nemica del relativismo, del meticciato etico e dei cedimenti secolari (non è folclore Fontana che da ministro richiama al peccato dell’aborto e dei matrimoni gay), ostile all’Islam comunque, non solo all’islamismo stragista, e aveva trovato qualche conforto in Giovanni Paolo II e a maggior ragione nel Benedetto XVI del discorso di Ratisbona, talvolta equivocato fino al fanatismo. Ora nell’ansia global spesso grossolana di Francesco colgono un terribile avversario, e lo combattono anche coi recenti scandali sessuali. Animano siti di successo, sono uomini di cultura, giornalisti intelligenti, apertamente in appoggio al sovranismo che lotta per un’Europa, come l’Ungheria di Orban, che torni bianca e cattolica. Lo straordinario è che alla loro testa c’è Salvini, un Papa laico.
Mattia Feltri
***
Guercino
il Giornale
Tutto avrei immaginato meno che la mia partenza per l’Africa fosse un avvicinamento, piuttosto che una fuga. Arrivato alla fine del mondo, al Capo di Buona Speranza, davanti al paradigma più alto del sublime naturale, tra la potenza della montagna, estremo baluardo, e l’infinito del mare, mi accorgo che la crisi di Sutri, che ho lasciato alle spalle, da questa distanza si risolve meglio. Anzi, si dissolve.
Vi è dunque un punto di cucitura tra Sutri e Cape of Good Hope, un nome rassicurante, gravido di futuro. E già immagino gemellaggi, imprevisti incontri di cose e luoghi lontani. Parigi è a 9.294 chilometri, Sydney a 11.642, New York a 12.541. La distanza da Roma non è segnalata. Forse perché, tra i meravigliosi paesaggi, la luce, il vasto golfo che dall’alto ricorda Posillipo, sembra proprio di essere in Italia. Alfonso Tagliaferri, il Console italiano a Cape Town, ha avuto un’idea che mi sembrava stravagante nella descrizione dell’ambasciatore, Pietro Donnici, ma assolutamente naturale quando mi sono trovato davanti a una Madonna con il bambino, la più bella e la più tenera, di Guercino. Non scoperta in un remoto deposito, come avevo inteso, ma arrivata dal museo di Cento, vicino a Ferrara. E perfettamente ambientata in una sala del museo Zeitz Mocaa, di fronte a un video dell’artista zimbabweano Kudzanai Chiurai, che mette in scena una Pietà al femminile. Un dialogo tra la vita e la morte, nella dimensione senza tempo in cui l’arte ci conduce.
Nel bellissimo museo, volti, luci, ambienti, musiche, ci trasferiscono in un impossibile Amarcord. Non il nostro, quello del più grande artista sudafricano, William Kentridge, con una danza irresistibile di disegni animati. Così, semplicemente, a Cape Town, Guercino e Kentridge.
Vittorio Sgarbi
Vi è dunque un punto di cucitura tra Sutri e Cape of Good Hope, un nome rassicurante, gravido di futuro. E già immagino gemellaggi, imprevisti incontri di cose e luoghi lontani. Parigi è a 9.294 chilometri, Sydney a 11.642, New York a 12.541. La distanza da Roma non è segnalata. Forse perché, tra i meravigliosi paesaggi, la luce, il vasto golfo che dall’alto ricorda Posillipo, sembra proprio di essere in Italia. Alfonso Tagliaferri, il Console italiano a Cape Town, ha avuto un’idea che mi sembrava stravagante nella descrizione dell’ambasciatore, Pietro Donnici, ma assolutamente naturale quando mi sono trovato davanti a una Madonna con il bambino, la più bella e la più tenera, di Guercino. Non scoperta in un remoto deposito, come avevo inteso, ma arrivata dal museo di Cento, vicino a Ferrara. E perfettamente ambientata in una sala del museo Zeitz Mocaa, di fronte a un video dell’artista zimbabweano Kudzanai Chiurai, che mette in scena una Pietà al femminile. Un dialogo tra la vita e la morte, nella dimensione senza tempo in cui l’arte ci conduce.
Nel bellissimo museo, volti, luci, ambienti, musiche, ci trasferiscono in un impossibile Amarcord. Non il nostro, quello del più grande artista sudafricano, William Kentridge, con una danza irresistibile di disegni animati. Così, semplicemente, a Cape Town, Guercino e Kentridge.
Vittorio Sgarbi