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 2018  agosto 29 Mercoledì calendario

Alla riscoperta di Milo De Angelis, poeta in guerra contro l’avanguardia

Torniamo sul tema della poesia (d’altro canto, in questi tempi calamitosi, un soffio d’aria pura ogni tanto non può fare che bene). L’occasione questa volta è il volume Tutte le poesie di Milo De Angelis (Mondadori, euro 22). Si tratta di un’imponente ripubblicazione di tutte le otto raccolte di De Angelis (Milano, 1951), apparse nel corso degli ultimi anni, da Somiglianze (1976) a Incontro e agguati (2015). Inoltre, nel volume trovano posto una scelta di poesie giovanili e lo scritto, teorico e progettuale, Cosa è la poesia?.
Pare a me indiscutibile che il linguaggio di De Angelis proceda da una sorta di misteriosa e prudentissima autochiusura a una apertura comunicativa sempre più dichiarata ed evidente. Niente di meglio, penso, per tentare di dimostrarlo che citare, anche se parzialmente, due esempi estremi, la prima e l’ultima delle poesie contenute nella raccolta.
La prima, I suoni giunti: Il lupo è ancora sotto la coperta e occorrono mille domande per capirlo anche se la voglia è di credere subito a tutto pronunciando un grazie silenzioso e intenso l’unità della sabbia, la mano destra che tocca la sinistra luminosa delle statue egiziane… L’ultima, Il cerchio: Un modo di violare la grazia di questi abiti, tra le danze e il vino e i volti fini: non c’è. La nebbia entra dalla finestra morbida, avvolge ogni crudeltà, vellutandola. È un inverno già caldo in cui ciò che manca annuncia il ritorno… Le differenze, anche ad una semplice lettura, sono incontestabili. La domanda è: cosa distingue, ma soprattutto cosa unisce, nell’evidente diversità delle soluzioni stilistiche e tematiche, l’inizio e la conclusione di questo lungo percorso? Qualche indicazione preziosa ce la dà Cos’è la poesia?
su almeno due punti. Per De Angelis la parola, soprattutto quella poetica, nasce dal “silenzio": sia, per lui, su di un piano autobiografico («il silenzio ha accompagnato tutta la mia giovinezza»); sia da un punto di vista elaborativo e creativo («questo è il silenzio fremente prima della valanga»). Ma, quando la parola emerge e prende corpo, non va mai in una direzione perfettamente lineare, e al tempo stesso non ritorna mai al punto di partenza: «La figura geometrica che disegna questa forma di tempo non è dunque il cerchio ma la spirale» (strano, l’ultima poesia della raccolta appena citata s’intitola invece proprio Il cerchio). Si potrebbe dire che all’inizio la poesia di De Angelis avvolge le cose ma penetrandole dall’interno.
Un’operazione antiavanguardistica quant’altre mai, se l’attitudine poetica sperimentale (Gruppo 63, ad esempio) consiste prevalentemente nel praticare il percorso opposto, e cioè nell’aggredire con il linguaggio le cose, mandandolo in frantumi nell’attimo e nel modo stesso con cui le cose vanno in frantumi. Il linguaggio di De Angelis – cito a mo’ d’esempio le raccolte Millimetri (1983) e Terra del viso (1985) – emerge invece dal profondo, gli rimane costantemente aggrappato, traccia una mappa dell’invisibile, e al tempo stesso ci consente di coglierlo, afferrarlo, cominciare a capirlo (se non proprio a capirlo).
Colpisce in modo particolare il frequente riferimento in questa poesia a Franco Fortini e, presumibilmente, alla sua tenace battaglia per realizzare una poesia che fosse all’avanguardia (anche ideologica, politica), ma senza cedere nulla ai dettami della consolidata anagrafe letteraria contemporanea. Ma sullo sfondo (non c’è dubbio), si avverte anche Montale, e il suo scavare profondo là dove apparentemente non c’è nulla da scavare.
L’insormontabile incertezza e problematicità esistenziale, che sempre perdura, e che c’è sempre, anche oggi, un grumo oscuro, impenetrabile (De Angelis non pretende mai di spiegare tutto), di raccolta in raccolta si traduce in un’entità linguistica comunicabile, a raccogliere e replicare i messaggi che vengono dall’esterno, oltre che, ancora e sempre, dal profondo.
Nelle raccolte più recenti, come Tema dell’addio (2005) e Incontri e agguati (2015), il verso singolo si allunga, la sintassi si fa più complessa, emerge una tendenza al racconto vero e proprio, la “spirale”, invece di trovare anch’essa una conclusione esplicita a un certo punto, come accadeva più sovente in passato, continua e continua, la memoria, che poteva essere il bagliore improvviso destinato a essere rapidamente risommerso dall’oscurità, tende a diventare un tratto costitutivo costante dell’invenzione poetica, la maturità e l’incipiente sospetto della sopravveniente vecchiaia si presentano, in maniera sempre più cantante, come un modo più alto e più comunicabile di tener fermi i rapporti con il passato, tuttavia sempre presente e sempre riemergente, infanzia, adolescenza, giovinezza, il padre, la madre, i primi amori, le corse, le nuotate le gare, le speranze e le disillusioni, e, spesso tutto questo insieme.
Se si segue il percorso con pazienza, magari poco a poco, ma intensamente, è come se emergesse il quadro di un grande colloquio del poeta con i nostri tempi, ossia, a voler essere un po’ ottimisti, con noi. Prenderlo in parola, significherebbe afferrare il senso della sua parola. Vale la pena di farlo.
P.S. Questo articolo vale, oltre che in sé, come parziale ammenda per l’assenza del nome di Milo De Angelis nel terzo volume della mia Storia europea della letteratura italiana: dimenticanza imperdonabile.