Corriere della Sera, 29 agosto 2018
Cosa aspettarsi da questo Festival di Venezia secondo Mereghetti
Che cosa ci aspettiamo da questa settantacinquesima Mostra? Ovvio: dei bei film. Ma non solo. Soprattutto vorremmo (auspicheremmo) che Venezia aiutasse a rimettere in carreggiata l’idea stessa di festival, uscita malconcia dalle polemiche e dagli «aggiustamenti» mediatici degli ultimi anni. Non dico che bisogna tornare al rigore «chiariniano» degli anni Cinquanta, ma ricordare (anche a certi polemisti) che prima dei tappeti rossi, delle star, degli equilibri di genere e di nazionalità, della difesa delle quote o dell’orgoglio nazionale deve venire la capacità di selezionare il meglio e il più rappresentativo. Del cinema, beninteso, e non della pubblicità o del marketing. Per parlare fuori dai denti, vorrei dire che negli ultimi anni, sotto la pressione degli sponsor (necessari, per carità) e dei mass media (le televisioni in primis), ai festival sembrava di dover giudicare tutto meno che la qualità delle opere selezionate. C’è chi privilegiava il discorso politico, chi il discorso promozionale, chi quello mondano, chi il discorso tout court. E i film? Viene in mente un vecchio spot americano dove una vecchietta doveva scegliere tra vari tipi di hamburger: i produttori magnificavano la fragranza del pane, la freschezza dell’insalata, la sapidità delle salse. Ma poi la vecchietta chiedeva: «Where is the beef?». Dov’è la carne? Ecco, la speranza è che Venezia aiuti a rimettere a fuoco l’obiettivo per guardare dritto alla «carne» del festival, nato (come tutti) per ragioni promozionali o propagandistiche ma poi cresciuto e affermatosi come luogo privilegiato di confronto e riflessione sul cinema. Anche prima di vedere i film in concorso è chiaro che, vista la lunghezza e la complessità delle trame, lo storytelling mutuato dalle serie televisive sia diventato un elemento centrale. L’altro punto fermo è la centralità, per i soggetti, dei fatti della Storia, anzi della Grande Storia (almeno sei film partono da lì: Leigh, Lanthimos, Nemes, Martone, von Donnersmarch e Greengrass. E probabilmente anche Minervini). Ma quello che ci si deve aspettare da un festival come Venezia è il modo in cui quelle complessità e quei soggetti sono affrontati, se lo sguardo del regista è mosso da un’autentica originalità e necessità, dalla voglia di esplorare e non solo di illustrare. È questo il cinema, ed è questo quello che ci aspettiamo da Venezia.