il Fatto Quotidiano, 29 agosto 2018
La mappa dei ponti a rischio
Vecchi, traballanti: di sicuro fatiscenti, a volte anche pericolosi. Dopo il disastro del Morandi, nessuno si fida più dei ponti italiani: c’è chi si fa il segno della croce prima di passarci sopra, chi cambia proprio percorso allungando di chilometri. Gli allarmi si moltiplicano: associazioni, comitati stilano elenchi delle strutture più a rischio.
L’ultimo l’ha fatto il Codacons, raccogliendo segnalazioni dalle varie Regioni: ne ha contati 51 in tutta Italia, la maggior parte nel Sud, con in testa la Sicilia (9), seguita da Calabria (8) e Campania (7).
Il censimento a due velocità del ministero
Nessuno sa di preciso neanche quanti sono, figuriamoci in che condizioni versano. Per questo il ministero dei Trasporti subito dopo il disastro di Genova ha avviato un monitoraggio: i Comuni e i vari enti gestori delle tratte devono comunicare entro il 1° settembre le proprie emergenze, con tanto di perizie tecniche, priorità e se possibile stima dei costi. Il censimento, però, procede a rilento, o comunque a corrente alternata: qualcuno è già pronto, come la Lombardia che oggi presenterà i primi risultati; da Sicilia e Calabria, invece, fin qui non sono arrivate notizie, mentre il provveditore di Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige ha dichiarato di non avere competenza sugli enti locali e quindi non ha ancora girato la nota del Mit.
Tra intoppi burocratici e difficoltà oggettive, le amministrazioni sembrano impreparate all’emergenza scoppiata dopo Genova: nelle intenzioni del ministero, la scadenza serrata doveva servire a raccogliere subito le vere urgenze, i dossier che sono già sul tavolo dei Comuni. Ma i sindaci non se la sentono di prendersi la responsabilità di indicare una priorità in tempi così stretti: pure l’Anci ha chiesto ulteriori verifiche, con la partecipazione di tecnici ministeriali, prima di procedere. Di sicuro se anche tutti dovessero rispondere entro il termine fissato, il monitoraggio servirà solo come prima ricognizione. I casi da tenere sotto controllo sono tanti, più a Sud che a Nord.
Calabria: il “Cannavino” già venuto giù nel ‘72
È già crollato una volta, adesso gli abitanti temono che possa succedere di nuovo. In cima alla lista delle tratte che destano preoccupazione in Calabria c’è il Ponte di Celico, tristemente noto per la tragedia del ‘72: il viadotto in località Cannavino (da cui prende il nome), in provincia di Cosenza, non era ancora stato ultimato e sprofondò disastrosamente poco prima della congiunzione fra i due tratti. Morirono due operai del cantiere, schiantati al suolo dopo un volo di 120 metri, un terzo si salvò per miracolo. Oggi il ponte è di nuovo messo male: si è inclinato verso il centro, più o meno nello stesso punto di allora, e vibra spaventosamente. Se può, la gente del posto evita di percorrerlo, anche a costo di allungare di 20 chilometri. L’allarme è arrivato all’Anas, che gestisce la statale 107 e fa sapere di tenere il viadotto sotto costante monitoraggio: “Siamo a conoscenza del problema, ad oggi i risultati dei rilievi non evidenziano rischi di crolli”. Anche l’ente, però, riconosce la sconnessione del tratto, che desta timori soprattutto in caso di eventi sismici: alcuni lavori di manutenzioni si sono già conclusi, nel 2019 ci sarà un secondo intervento sulla staticità della struttura.
Basilicata: il “ponte del diavolo” fa paura a tutti
Lo hanno ribattezzato “Ponte del diavolo”, per i diversi incidenti. E perché fa paura: alto 115 metri, con i guardrail bassissimi e i piloni consumati, cemento eroso e i fili di ferro scoperti. Per attraversare il Viadotto Scescio sulla statale 658 in Basilicata ci vuole coraggio. Eppure centinaia di automobilisti sono costretti a farlo ogni giorno, visto che è di fatto l’unico collegamento tra la zona industriale di Melfi e il capoluogo Potenza. L’allarme va avanti da anni, il piccolo Comune di Barile (cha ha competenza sulla tratta) non sa come intervenire, i cittadini preoccupati si sono organizzati in un comitato. Qualcosa si muove: l’Anas a marzo ha pubblicato un bando da 2 milioni di euro per sostituire le barriere e intervenire anche sui piloni che necessitano di essere irrobustiti. I lavori difficilmente cominceranno prima del 2019 e dureranno un anno intero: nel frattempo si viaggia a carreggiata ristretta e con limitazioni per i mezzi pesanti, così da non sollecitare troppo la parte esterna del viadotto e “garantire la circolazione in condizioni di sicurezza”.
Roma: sul “Magliana” due pareri contrari
Nel Lazio osservato speciale fra le centinaia di sovrappassi presenti sul territorio regionale è il Ponte della Magliana, del Comune di Roma. L’infrastruttura da ben 70 anni permette ai veicoli (nell’ultimo anno sono stati 10 milioni) di oltrepassare il Tevere all’altezza dell’Eur, ma alcuni mesi fa uno studio realizzato dall’ingegner Remo Calzona, già professore di Tecnica delle costruzioni alla Sapienza di Roma, ne ha messo in dubbio la stabilità. Secondo Calzona, infatti, vi è una “evidente dilatazione dei giunti” affiancata alla “usura dei materiali”, soprattutto cemento e travertino: il ponte, ormai “a fine vita”, non avrebbe nemmeno mai ricevuto i collaudi di legge. Dopo la tragedia di Genova, il Viminale ha preteso dal Campidoglio un’informativa ad hoc sullo stato dell’infrastruttura, che entro il 2022 dovrebbe essere “alleggerita” dalla realizzazione del cosiddetto Ponte dei Congressi (già finanziato). Il Comune, però, non ritiene Calzona “imparziale” ( è il progettista del futuribile Ponte di Traiano inizialmente previsto per lo stadio della Roma, e consulente di Eurnova di Parnasi) e per questo ha commissionato un’altra perizia, secondo cui il ponte è “da attenzionare ma non a rischio crollo”. Per “problemi strutturali” negli scorsi giorni è stato parzialmente chiuso il ponte della Scafa, unico collegamento sul litorale fra Ostia e Fiumicino.
Firenze: solo adesso i lavori sul Vespucci
A Firenze hanno corso un bel rischio, senza neppure rendersene conto: il ponte Vespucci, in pieno centro città, è rimasto per mesi aperto al traffico di automobili e mezzi pesanti nonostante fosse “a rischio collasso”. A lanciare l’allarme sono stati gli esperti dell’Università che a maggio scorso avevano scritto una relazione in cui invitavano il Comune a chiuderlo immediatamente perché pericoloso. La prima segnalazione era stata fatta dai tre professori già nel 2015 quando dopo una prima ispezione era stata rilevata una profonda erosione (circa 4 metri) della pila sinistra del ponte. Palazzo Vecchio, però, aveva deciso di fare ulteriori indagini, le cosiddette prove di carico, che avevano dato esito positivo. A maggio l’intervento è diventato inderogabile: “La situazione è critica, per noi il ponte è completamente scarico e potrebbe collassare”, il parere dei tecnici. Solo il 14 agosto, però, a poche ore dal disastro di Genova, il Comune ha annunciato l’inizio dei lavori di messa in sicurezza, previsto a metà settembre. In tutto questo tempo il ponte è sempre rimasto aperto.
A Satriano (Foggia) Comune contro Anas
Sulla trafficata statale 655 tra Foggia e Candela il cavalcavia numero 12 (quello tra l’uscita di Ascoli Satriano nord e sud) fa così paura da obbligare il sindaco a chiuderlo. La struttura si è deformata, anche a causa della composizione per metà in ferro e per metà in cemento, e presenta delle lesioni; una pendenza verso il centro fa confluire le acquee reflue provocandola caduta di parti in cemento e calcinacci. Se lo si percorre ci si imbatte in uno scalino di venti centimetri circa e in una lesione netta che ha portato i tecnici del Comune a emettere un’ordinanza di chiusura urgente. La competenza è dell’Anas, che però fin qui si è limitata ad intervenire solo su due lastroni di cemento in bilico e pronti a precipitare sulla statale sottostante. Un lavoro di ripristino che non ha risolto il problema: “Il rischio di cedimento è concreto – spiega il sindaco di Ascoli Satriano -, le parti in cemento presentano crepe e rischiano di staccarsi andando a finire sulla carreggiata travolgendo il traffico”.
Abruzzo: la “psicosi” sulla Teramo-Roma
Qui gli allarmi vanno avanti da anni: nel 2017, ad esempio, era montato un caso sul cavalcavia 157 e il gestore era stato costretto a smentire i dubbi: “Quel ponte è sicuro, è stato rinforzato con una nuova struttura in cemento armato e soprattutto con delle nuove fondamenta”. Le segnalazioni, però, continuano: di recente le ha raccolte Legambiente, puntando sui viadotti Popoli-Bussi, dove saltano i giunti, o quello di Cocullo, dove cadono calcinacci. Dopo il disastro di Genova, il concessionario ha di nuovo assicurato che “viadotti e ponti della A24 e A25 sono sicuri”: “Ne garantiamo sia la tenuta sismica chel’assoluta sicurezza, mentre il fenomeno dello ‘scorticamento’ dei piloni è frutto dell’uso massiccio di sale nei mesi più freddi”.
Sul viadotto irpino si circola solo a metà
L’allarme sulla strada statale 90 delle Puglie, nel territorio di Ariano Irpino, era scattato ben prima del disastro di Genova: a metà luglio Anas aveva chiuso in via precauzionale il viadotto La Manna, in seguito alle ripetute denunce degli automobilisti, spaventati dallo stato delle cerniere e dei piloni. I rilievi fatti dai tecnici sono stati contrastanti: assenza di problemi statici per quel che riguarda l’impalcato orizzontale, ma “evidenti segni di deterioramento” dei pulvini di sostegno. Dopo un ulteriore sopralluogo, la tratta è stata riaperta solo parzialmente, in attesa di un intervento di messa in sicurezza dell’infrastruttura che però è ancora lontano dall’essere realizzato. Da allora sul viadotto si marcia solo a traffico alternato e regolato dal semaforo, per evitare di sovraccaricare la struttura. Sperando che basti per evitare danni peggiori.