Libero, 29 agosto 2018
La canzone più copiata è il Salmo 137 della Bibbia
A coloro che si appresteranno a leggere il libro di Maurizio Stefanini e Marco Zoppas Da Omero al Rock (edizioni Palindromo, 300 pagine, 18 euro) diamo un utile consiglio, di far proprio il principio che, nella vita come nelle arti, i puristi sono dei becchini che cercano di fermare la rotazione terrestre e congelare la loro idea del mondo come se dovesse valere per tutti. Per fortuna la eco delle menate su che cosa debba essere la poesia sembra estinta, dopo l’abbaieria durata settimane perché Bob Dylan è diventato Nobel per Letteratura, e Kendrick Lamar, rapper urbano è stato insignito del premio Pulitzer, ultime spallate alla porta per decenni sprangata alla musica e alla poesia popolare da parte dei salotti letterari. Il libro che avrete sotto mano, dunque, è un favoloso compendio di tutto, ma proprio tutto, quello che potete chiedere sulla mutevole relazione, all’apparenza clandestina ma in realtà incestuosa, fra queste due arti, dall’alba della poesia orale a oggi. I puristi, dunque, sono dei becchini perché adorando il passato remoto, non sanno che mettere steccati e ignorano negligentemente la cattiva notizia che ciò che è antico un tempo è stato nuovo. Passi Canova, che fece il neoclassico tutto bianco perché non sapeva che il Partenone e le figure di Fidia sembravano un album da colorare. Ma per il resto, oggi se ne sa abbastanza per fare una strage dei luoghi comuni: in particolare, questi due, Zoppas, come esegeta di Dylan e anticipatore del successo letterario del bardo americano, e Stefanini, in quanto torrenziale ed enciclopedico giornalista, collezionista di notizie sfuggite agli altri, apostolo del dettaglio e fanatico della completezza. Così, scrivono, «non è il pop che plagia la letteratura, ma viceversa»: nel conferire nel 2012 a Leonard Cohen (canadese, uno dei maggiori poeti-cantautori del Novecento più una frattaglia di questo secolo) il premio Song Lyrics of Literary Excellence, lo scrittore indo-britannico Salman Rushdie confessò che se sapesse scrivere come Cohen non esiterebbe a farlo, «perché la letteratura comincia con la stesura di un verso o di una battuta, cioè l’essenza di una canzone rock». LE «CHICCHE» Sarebbe soffocante elencare in queste righe quanti artisti e quanti corto circuiti vengono spiegati nel libro: l’enciclopedismo di Stefanini e Zoppas, infatti, non si ferma all’era contemporanea, che pure è trattata con generosità. Per riprendere il paragone con l’antichità, la statua senza colore, infatti, scrivono i due, arriva tardi, come la poesia senza canto, e loro non possono permettere che il racconto cominci a metà del cammino o che a metà si fermi. Il libro, così, si dipana per otto capitoli che partono da Omero e i tragici greci, i cui versi erano cantati o accompagnati da musiche oggi perdute, e passa anche attraverso la Bibbia. Per esempio, si racconta la fortuna del Salmo 137, la canzone più copiata della storia. Lamento degli ebrei deportati a Babilonia dopo la caduta di Gerusalemme del 587 a.C. (e quindi, sottolineano, non scritto da Re Davide), questo brano ha attraversato i secoli: musicato in latino da Pierluigi da Palestrina nel 1581 e da altri quattro o cinque suoi contemporanei, presente nel Nabucco di Giuseppe Verdi, che scrisse il Va Pensiero immaginando gli italiani sotto l’Austria simili agli ebrei sotto Babilonia, ispirato da una parafrasi in italiano scritta da Temistocle Solera nel 1842; per poi approdare a Salvatore Quasimodo, che ne trasse una poesia, nel 1945, che parla dell’occupazione tedesca: «E come poteva noi cantare / con il piede straniero sopra il cuore»; e per infine arrivare, imbastardito dal viaggio fra le culture e le traduzioni, fino a uno spiritual reggae del 1970 che, ristrutturato, porterà alla hit internazionale del 1978 Rivers of Babylon del gruppo pop-disco Boney M. Queste cose le sapevate? No, che non le sapevate, come neppure delle altre 23 versioni del salmo, dal XVI secolo a oggi, che Stefanini e Zoppas hanno scovato, che passano attraverso cantautori francesi, Bach, la Rivoluzione americana, Liszt, ancora Cohen, Dvorak e una quantità di arrangiamenti. Questa del salmo 137 è una storia che abbiamo preso aprendo a caso il libro: ecco, dunque, che cosa vi aspetta. Se poi non siete musicofili, né molto curiosi, né avete voglia di divertirvi a farvi sorprendere leggendolo tutto di seguito o qua e là, sappiate che potete usarlo come eccelso prontuario da cui spigolare una buona conversazione: «La linea di separazione fra cultura alta e cultura bassa non ha più motivo di esistere», bella figura garantita.