Corriere della Sera, 28 agosto 2018
La ricerca sugli atleti arrivati secondi ai Giochi: «Sono più ricchi e longevi delle medaglie d’oro»
Può sembrare un’ovvietà, eppure non ci pensiamo mai abbastanza: chi arriva secondo, in qualsiasi specie di competizione, non è il primo, ma non è nemmeno il quarto, o il diciottesimo. Come quella dei numeri primi del famoso romanzo di Paolo Giordano, anche la solitudine del secondo è piena di senso, è un destino, una figura strana e irripetibile in quella grande danza che è la vita. Perché nel secondo, come nel centro di un’illusione ottica, convergono due immagini contraddittorie. Voglio dire che il secondo partecipa sia della natura del primo, a causa della sua prossimità alla vittoria, sia della natura dell’ultimo, perché in fin dei conti non ha vinto, e come cantavano gli Abba, the winner takes it all. Singolare privilegio filosofico, a saperlo sfruttare come si deve: perché il punto di vista del secondo permette di considerare entrambe le posizioni estreme, quella del primo e quella dell’ultimo, alla stregua di una menzogna.
La grande intuizione che può toccare in sorte al secondo è che in questo mondo non esiste né la vittoria né la sconfitta, ma un perenne risultato ibrido. La vita stessa, considerata nell’infinita varietà delle sue manifestazioni, è seconda alla morte, e chissà che l’intero universo non sia che una versione meno perfetta, lievemente meno funzionante di altro universo perfetto, dove gli astri e i pianeti ruotano uno intorno all’altro con una grazia e una precisione che non riusciamo nemmeno a immaginare.
Sono tutte vane speculazioni di fine estate? Allora leggete, sulle pagine del Journal of Health Economics, la sorprendente ricerca di Adam Leive, professore dell’University of Virginia. Questo studioso ha esaminato le vite di un grandissimo numero di atleti olimpici, che hanno gareggiato tra il 1898 e il 1946. E si è accorto di una cosa: i vincitori di una medaglia d’argento (o, se preferite, i perditori di una medaglia d’oro) che sono arrivati a vivere più di ottant’anni, sono tre volte tanti coloro che hanno vinto l’oro. Non me ne voglia il mio amico Alessandro Piperno, ma vorrei scrivere al professor Leive per chiedergli se la cosa può valere anche per il Premio Strega ! A parte gli scherzi, la ricerca americana ha almeno un altro risultato che merita qualche riflessione: a quanto pare, questi benedetti secondi non solo campano più a lungo, ma dopo essere saliti sul gradino basso del podio, hanno guadagnato molto più dei primi. E visto che a quei tempi si trattava di atleti dilettanti, il fatto è addirittura sconcertante. In che misterioso modo l’essere arrivati secondi alle Olimpiadi ha determinato scelte di lavoro e prestazioni più redditizie dei vincitori? Cosa vuole suggerire il professor Leive, che tutte le vittorie sono vittorie di Pirro?
Davvero l’esistenza umana è un meraviglioso caleidoscopio di assurdità, ed è per questo che non ci stanchiamo di amarla ed indagarla. Devo confessare che queste notizie non mi colgono affatto impreparato, perché nella mia vita sono sempre stato un secondo, a livelli che considero professionali. Il personaggio che ha più influenzato la mia sensibilità nell’infanzia e nell’adolescenza è stato senza dubbio Yanez il Portoghese. Me lo ricordo bene, in uno storico sceneggiato della tv, impersonato da quel meraviglioso attore che è Philippe Leroy. Ho sempre pensato che Yanez è mille volte più fortunato di Sandokan. Si gode la vita intensa e stimolante delle Tigri di Mompracem nella posizione ideale, mentre sul povero Sandokan pesa il terribile fardello dell’essere se stesso. Yanez può deludersi: ed è ben verosimile che con questo dono del destino si campi più a lungo, e magari si guadagni anche qualche soldo in più.
Ma attenzione all’orgoglio dei secondi, che potrebbe guastare tutto, trasformando un vantaggio in una stolta parodia del vincitore. Noi che non vinciamo mai, dobbiamo sempre essere onesti, e ammetterlo: una volta tanto, una volta sola, una medaglietta d’oro, magari secondaria, un giorno che Sandokan è indisposto, piacerebbe pure a noi.