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 2018  agosto 09 Giovedì calendario

Uccisi dall’Isis i due ragazzi in bicicletta

Corriere della Sera
Francesco Giambertone

«I media ti raccontano che il mondo è un posto grande e spaventoso, pieno di gente cattiva di cui non fidarsi. Io non me la bevo». Fradicio, stremato e sporco di fango, Jay Austin, 29enne di Washington, ad aprile scriveva da un salotto in Marocco quel che aveva realizzato sull’umanità: «Per la maggior parte, gli esseri umani sono gentili. A volte egoisti, altre volte miopi, ma gentili. Generosi e meravigliosi».
In quel momento, ospite di una generosa famiglia di sconosciuti, Jay era felice di come sono fatti gli uomini. Ne aveva incontrati molti, di ogni colore, etnia e religione, nel giro del mondo in mountain bike cominciato a luglio 2017 insieme alla fidanzata Lauren Geoghegan, e finito per entrambi una settimana fa in Tagikistan, al giorno 369, sotto le ruote di un’auto lanciata contro di loro da un gruppo di terroristi dell’Isis, scesi per finire «i miscredenti» a coltellate e a colpi di fucile.
Come spesso sono i viaggiatori, Jay era un infaticabile ottimista. «Il male è un concetto inventato – raccontava nel blog in cui descriveva tappe, incontri ed emozioni di quell’esperienza – per gestire le complessità dei valori umani, le credenze e le prospettive diverse dalle nostre». Jay non aveva paura di affrontarle: voleva scoprirle, toccarle, viverle. Per questo, spiega Rukmini Callimachi sul New York Times, un anno fa aveva fatto il grande passo: si era licenziato dal lavoro e insieme alla sua Lauren aveva pianificato nei dettagli l’avventura tanto sognata: «Sono stanco di passare le ore più belle della mia giornata davanti a un rettangolo luminoso e di colorare i migliori anni della mia vita con sfumature di grigio e di beige». Lui che da tempo viveva in una casa «minimal» di 13 metri quadri e dal lavoro preferiva ottenere più tempo libero che soldi, inseguiva «le albe, i temporali, le brezze gentili che mi sono perso in questi anni».
A spingerlo ci avrebbe pensato un potente carburante: l’amore. Quello più materiale per la bici, e uno più profondo per la ragazza che l’aveva stregato ai tempi dell’università e che sarebbe partita con lui. «Jay aveva cambiato la traiettoria della vita di Lauren», ammettono ora gli amici di lei. Accanto al fidanzato vegano era diventata vegetariana e si era fatta travolgere da quella passione a due ruote. Aveva cominciato ad andarci in ufficio, qualche gita fuori città, fino alla prova finale, un mese in sella tra le valli islandesi: sì, erano pronti per il grande salto. «C’è della magia là fuori, in questo grande e bellissimo mondo»: era così che lo vedeva Jay, l’uomo che Lauren descriveva alle amiche come «avventuroso, fuori dagli schemi, quello che mi mette in discussione per crescere».
Nella traversata del pianeta Terra erano cresciuti davvero, senza nascondere a chi li seguiva sui social le difficoltà di quell’esistenza itinerante: la pioggia battente, il caldo asfissiante, le gomme bucate, le cadute e le ustioni, la malaria di lui in Malawi, l’infezione all’orecchio di lei in Francia. E pure i (rari) incontri spiacevoli con chi aveva tentato di derubarli. Incidenti di un percorso fra 24 Paesi e tre continenti, dal Sudafrica allo Zambia, dalla Spagna alla Bulgaria, che aveva regalato loro un modo nuovo e bello d’intendere la vita: «Quando incontri gente come chi ci sta ospitando, ti viene voglia di ridare indietro qualcosa al mondo intero. Diventi qualcuno che vuole accogliere gli altri. Un mercante nell’economia del dono».
Il loro sogno è durato 369 giorni. Finché non sono finiti vittime del primo attacco dell’Isis in Tagikistan. Un gruppo di terroristi ha falciato Jay, Lauren e i cinque europei con cui viaggiavano su una strada sterrata di Danghara. Così è finito il viaggio nel mondo di due sognatori.

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la Repubblica

RUKMINI CALLIMACHI

«In questo nostro grande magnifico mondo c’è tanta magia da scoprire», ha scritto Jay Austin l’anno scorso quando, insieme alla sua compagna Lauren Geoghegan, ha notificato le dimissioni due settimane prima di spedire la sua bicicletta in Africa. E i fatti gli hanno dato spesso ragione. Il 319esimo giorno del loro viaggio, un kazako ha fermato il suo camion, li ha salutati e ha offerto loro dei gelati. Nel prato dove avevano piantato la tenda, il giorno 342, una famiglia intera si è presentata con strumenti a corda e ha improvvisato un concerto all’aria aperta. E, il giorno 359, due ragazze con le trecce li hanno accolti in cima a un passo che porta in Kirghizistan con un mazzo di fiori. Naturalmente, i due hanno dovuto superare anche difficoltà e imprevisti, tra cui gomme bucate, cani ringhiosi, grandine e malattie varie.
Tuttavia, per Jay Austin e Lauren Geoghegan, entrambi ventinovenni, quel genere di intoppi era ben poca cosa rispetto ai momenti straordinari vissuti e ai rapporti umani allacciati. Poi, poco più di una settimana fa, è arrivato il giorno 369: la coppia stava pedalando in formazione con un gruppo di altri turisti lungo un tratto panoramico di una strada del Tajikistan sudoccidentale. È stato lì, il 29 luglio, che li ha incontrati un gruppo di uomini, che si ritiene abbiano registrato un filmato nel quale dichiarano fedeltà allo Stato Islamico.
Un breve video fatto con il cellulare da un automobilista, ha mostrato l’accaduto: una berlina Daewoo carica di uomini ha superato i ciclisti e effettuato una brusca inversione di marcia. È tornata indietro, ha puntato contro i ciclisti, li ha speronati a tutta forza e ha sterzato per passare sopra i loro corpi a terra.
In tutto sono rimasti uccisi 4 ciclisti: Jay Austin, Lauren Geoghegan e altri due, uno svizzero e un olandese.
Due giorni dopo, lo Stato Islamico ha diffuso un video nel quale si vedono i 5 aggressori, seduti davanti alla bandiera dell’Isis.
Guardando la telecamera hanno pronunciato la loro promessa: uccidere gli “infedeli”. Visione opposta a quella con la quale cercavano di vivere Jay Austin e Lauren Geoghegan. Così scriveva Jay Austin: «Provi la sensazione di voler restituire qualcosa, non soltanto a chi ti accoglie come straniero in casa sua, ma al mondo intero. Diventi una persona capace e disposta ad accogliere».
A Washington, dove la coppia si era conosciuta, Jay Austin viveva in una micro-casa, un esperimento dei principi di base che lo avrebbero condotto in viaggio in tutto il mondo. Dopo un master alla Georgetown University, lavorava al Dipartimento per l’edilizia degli Usa. Aveva adottato uno stile di vita minimalista, dice Ashley Ozery, amica d’infanzia. Si era costruito una piccola casa , “The Matchbox” (la scatola di fiammiferi), 13 metri quadrati. La sua casa in miniatura gli permetteva di prendere ferie non retribuite dal posto di funzionario pubblico e viaggiare a ogni latitudine. Ozery ricorda che nel dipartimento «alla fine dell’anno si poteva scegliere: chiedere un aumento di stipendio o più ferie, e Jay Austin chiedeva sempre più ferie». La prima volta, un viaggio negli Stati Uniti in motorino. In seguito, ha viaggiato in treno per tutta Europa. Poi, una prima puntata in Namibia, seguita da una settimana in India, racconta Ozery, diventata amica di Jay Austin nel 1999 alla scuola elementare di Manalapan, in New Jersey. Nel 2012, Jay Austin ha conosciuto Lauren Anne Geoghegan, originaria della California meridionale, che come lui si era laureata a Georgetown e lavorava nell’ufficio immatricolazioni del college.
«Pensa fuori dagli schemi», «mi sfida a crescere», «è avventuroso»: così Lauren Geoghegan aveva descritto Jay Austin ai suoi più cari amici, dice Kristen Bautz Robinson, che la conosceva da quando erano matricole a Georgetown.
Benché anche Lauren Geoghegan fosse una viaggiatrice esperta – aveva trascorso un’estate a Beirut a imparare l’arabo e un semestre a Madrid perfezionando il suo spagnolo – i viaggi fai-da-te e avventurosi di Jay Austin, le erano del tutto nuovi. Gli amici dicono che i valori dell’uno presto sono stati acquisiti anche dall’altra.
Lauren Geoghegan ha acquistato un pass per il bike-sharing. Poi si è comprata una bicicletta tutta sua.
Jay era vegano, Lauren è diventata vegetariana, aggiunge la sua amica Amanda Kerrigan. Nel 2016, Lauren Geoghegan ha detto a questa amica di avere l’intenzione di lasciare il lavoro e di partire in bicicletta intorno al mondo.
Kerrigan non è riuscita a non esternare le sue preoccupazioni.
«Jay ha modificato la traiettoria della vita di Lauren. Se il loro piano poteva sembrare ardito, di fatto lo avevano programmato nei dettagli. E si erano allenati per un mese intero in Islanda».
Oltre a ciò, si erano concentrati con scrupolo su ogni oggetto che avevano in mente di utilizzare. Un giornalista, un giorno trovò Jay Austin davanti a una bilancia, intento a pesare tutti i beni che aveva in mente di mettere in borsa: un cappello, 57 grammi; un tablet, 311 grammi. I due giovani hanno trascorso mesi interi a risparmiare, e infine è arrivato il momento delle grandi decisioni: quel viaggio non poteva essere effettuato con un lungo periodo di ferie. «Oggi abbandono il mio posto di lavoro», ha scritto Jay Austin il mese prima della partenza, l’estate scorsa. «Sono stanco di trascorrere le ore migliori della mia giornata di fronte a uno schermo luminoso.
Mi sono perso troppi tramonti, troppe tempeste di pioggia».
La coppia ha iniziato il suo viaggio dalla punta estrema meridionale dell’Africa, con un errore di calcolo che li ha lasciati entrambi a terra. Era il 23 luglio 2017 e in Sudafrica era inverno e il sole tramontava alle 17.30. Non si erano resi conto di quanto a lungo avrebbero dovuto pedalare per superstrade molto congestionate prima di uscire da Città del Capo.
Al crepuscolo si sono trovati con una gomma bucata sulla caotica R27. In un post Jay Austin ha risposto a chi gli chiedeva perché avesse scelto la bicicletta per andare in giro per il mondo, parlando della vulnerabilità di chi sceglie di pedalare. «Alla tua vulnerabilità corrisponde una generosità immensa: le brave persone capiscono quanto tu abbia bisogno di assistenza. E in genere te la offrono in abbondanza», aveva scritto.
Tutto il loro viaggio è stato un continuo susseguirsi di prove fisiche tediose, in qualche caso estenuanti, intervallate dalle gentilezze altrui. Hanno proseguito pedalando verso nord, hanno attraversato deserti nei quali le dune erano profonde a tal punto da dover smontare dalla bicicletta e spingerla. Hanno seguito piste in terra battuta, attraversato letti secchi di fiumi, pedalato sull’asfalto spaccato, senza farsi una doccia per giorni. I giorni sono diventati settimane, e le settimane mesi. Il loro fisico ha iniziato a dare segni evidenti di spossatezza. Nel dicembre scorso, quando hanno raggiunto l’Europa, era inverno. Le piogge torrenziali li hanno inzuppati fino al midollo.
Dalla Spagna hanno postato solo queste parole: «Completamente disperati, fradici, intirizziti».
Eppure, quando hanno raggiunto quella curva della strada in Tajikistan, poco più di una settimana fa, avevano sposato il concetto per il quale il mondo è fatto perlopiù di straripante bontà. «Quando si legge il giornale, si ha l’impressione che il mondo sia un enorme posto spaventoso», ha scritto Jay Austin. «Si è soliti dire che bisogna diffidare della gente. Che la gente è cattiva. Che la gente è malvagia.
Ma io non ci credo. Il male è un concetto fasullo che ci siamo inventati per gestire le complessità degli esseri umani che hanno prospettive, valori e principi totalmente diversi dai nostri. Invece, gli esseri umani sono gentili, e tanto. Talvolta sono interessati. In qualche altro caso sono privi di lungimiranza, ma sono sempre gentili. Generosi, meravigliosi e gentili».
Più avanti ha scritto: «Nel nostro viaggio non c’è stata rivelazione più grande di questa». Nel filmato diffuso dallo Stato Islamico dopo la morte dei due giovani, gli uomini che giurano in gruppo fedeltà alla causa sono seduti su una lastra di pietra, e dietro le loro spalle si intravede un lago color verde acquamarina, il tipo di panorama che la coppia amava ammirare e immortalare sul suo blog. Nel filmato, invece, quando indicano il paesaggio attorno a loro, gli uomini dello Stato Islamico giurano che massacreranno gli “infedeli” penetrati nel loro territorio.
( Traduzione di Anna Bissanti, la versione integrale è su Rep:)
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“Se il piano sembrava ardito, loro lo avevano programmato nei dettagli. Si erano allenati un mese in Islanda” “Alla vulnerabilità della bici corrisponde una generosità immensa: le brave persone capiscono il bisogno d’assistenza” “Si è soliti dire che bisogna diffidare della gente, che è malvagia, ma io non ci credo. Il male è un concetto fasullo”
L’autrice I documenti sull’Isis Rukmini Maria Callimachi,45 anni, è una giornalista romeno-americana, corrispondente del New York Times dal 2014. Per tre volte finalista del Premio Pulitzer, per il quotidiano americano è esperta di al Qaeda e Isis. Sue le storie degli jihadisti di al Qaeda basate su una serie di documenti del gruppo terrorista recuperati in Mali.
Prima del Nyt, ha trascorso sette anni in Africa,all’inizio come corrispondente e poi come capo della redazione dell’Associated Press in Africa occidentale. Ha iniziato la sua carriera in India nel 2001, dove è riuscita a mettersi in salvo da un terremoto devastante nel Gujarat, su cui ha scritto la sua prima storia per il Time. Molte delle sue storie le riprende poi anche su Twitter: @rcallimachi.
Il diario di viaggio “Hey there. Siamo Lauren e Jay, due americani in bicicletta intorno al mondo”. Si presentano così i due ragazzi sulla pagina simplycycling.org, che raccoglie le loro storie di viaggi in immagini e pensieri.