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 2018  agosto 10 Venerdì calendario

Riondino, il padrino di Venezia: «Non farò la bella statuina. Basta con le quote celesti e rosa al cinema»

Già sa come si vestirà sul red carpet a Venezia, ma ancora non sa cosa indosserà in palcoscenico nel ruolo di Satana. Michele Riondino, padrino alla prossima Mostra del cinema, si prepara a un ruolo più impegnativo in teatro: il 9 settembre debutta al Teatro Cucinelli di Solomeo con Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov.
«Lo smoking sul tappeto rosso a Venezia è di rito – ammette l’attore -. Invece non ho ancora deciso quale sarà il costume di scena che indosserò nel ruolo di Woland, il diavolo, devo capire che genere demoniaco incarnerò. Qual è, infatti,la prima idea che viene in mente quando si pensa a questa figura biblica: l’orrenda bestia maligna oppure l’angelo delle tenebre fascinoso, tentatore? Il mio scopo è sorprendere il pubblico, ribaltando l’idea preconcetta: renderò l’animale più umano oppure più bestiale l’angelico? È questa ambiguità che mi attira nel personaggio».
Una storia d’amore complicata, quella tra il Maestro e Margherita, ambientata nella Mosca sovietica degli anni Trenta.
«Molto complicata dall’irruzione il Diavolo, che crea il caos. In un contesto ateo, Woland sovverte l’ordine imposto dalla politica dittatoriale, dimostrando con la sua presenza addirittura l’esistenza di Dio: se non ci fosse Dio, la Luce, non ci sarebbe nemmeno Satana, l’Ombra».
Intanto, dall’impegno teatrale che sta preparando, ora si assenta per immergersi nel cinema.
«Il nesso c’è: Satana è il principe dell’inganno e il cinema, fra tutte le arti, è quella ideale per trarre in trappola l’uomo».
Che effetto le ha fatto la proposta?
«Il teatro è il mio habitat naturale, ma a Venezia mi sento a casa. Inoltre, essere il secondo padrino della Mostra, dopo Alessandro Borghi, mi piace ancora di più: finalmente si rompe un cliché, è una scelta simbolica che rovescia gli schemi, basta con le quote rosa da un lato e quelle celesti dall’altro. Il criterio deve essere la meritocrazia, no maschio o femmina».
Si sente a casa perché alla Mostra ha partecipato spesso come attore in vari film, però purtroppo non ha mai vinto il Leone.
«Non me ne sono mai fatto un cruccio, l’importante è partecipare e sapere che quel tuo film viene giudicato da attori o registi del cinema internazionale. Stavolta sarò il cerimoniere, apro e chiudo la Mostra, ma non farò la bella statuina: voglio esprimere amore per il lavoro che faccio».
Tra i titoli in programma, quelli che più incuriosiscono il padrino?
«Suspiria di Luca Guadagnino: non vedo l’ora di vederlo, dato che mi appresto a interpretare un satanasso, sto sul pezzo... Amo i fratelli Coen, poi First Man di Damien Chazelle, il regista del musical La La land, e il film con Lady Gaga».
È molto interessato ai musical?
«Sì perché il mio prossimo film lo sarà: una storia inventata su brani di Lucio Battisti. Ripeto: amo rompere gli schemi e non sono d’accordo con le recenti polemiche riguardo a Netflix che, tra i film con cui sarà a Venezia, ci sarà quello di Alessio Cremonini su Stefano Cucchi, che andrà in contemporanea nelle sale e in tv».
Il cinema italiano però è in crollo verticale.
«Il botteghino non soffre a causa delle piattaforme, anzi, lo spettatore può scegliere: mi vedo un film di 14 ore a casa o uno di 2 ore in sala? E maggiore è la scelta, meglio è. Non è vero che il cinema è in crisi, è che non ci sentiamo protetti. Esistono bravi registi che rischiano e non sono tutelati».
A proposito di serialità, il capitolo del Giovane Montalbano è concluso?
«Per ora non c’è materia perché si riapra. A me piace fare altro: un grande regalo, ricevuto da Camilleri, è stato interpretare La mossa del cavallo. Sono geloso del mio percorso artistico, ho ricevuto tante offerte e ho accettato quelle che mi servivano a crescere. Solo così si possono raggiungere dei traguardi».
Il red carpet di Venezia è un traguardo?
«In fondo è come un palcoscenico: ti metti il costume, entri in scena, reciti una parte e poi esci. Il successo è volatile e il diavolo lo usa per sedurre noi poveri illusi».