La Stampa, 9 agosto 2018
Alain Elkann: «La voce di Moravia che mi racconta la sua vita ora si può ascoltare a Harvard»
Oggi alla Houghton Library di Harvard è possibile ascoltare la voce di Alberto Moravia, 28 cassette originali che racchiudono la lunga intervista che gli fece Alain Elkann. Una conversazione da cui nacque il libro Vita di Moravia, uscito pochi giorni prima della sua morte, che questa estate l’editore Bompiani ha pubblicato di nuovo nei Tascabili insieme ad altre tre opere di Elkann: Piazza Carignano, I soldi devono restare in famiglia e Il padre francese. Le audiocassette tratte dal libro sono una straordinaria autobiografia da cui emerge come Moravia sia stato un testimone sempre sui fatti. «Esattamente così, la voce di Moravia è ancora molto importante e non c’è un giorno nella mia vita in cui non penso a lui. Ci sono ancora tante domande che vorrei fargli», dice Alain Elkann.
Quale domanda gli farebbe per prima?
«Se avrebbe paura che in Europa torni il fascismo».
Quale era il suo rapporto con la politica? E vero che era infastidito verso i critici che leggevano nei suoi romanzi pulsioni politiche?
«Lui pensava che la letteratura fosse al di sopra della politica. Simpatizzava con la sinistra, con il Partito comunista, ma era consapevole del fatto che lo Stato era Andreotti, la Dc. Quando ha fatto il deputato europeo era interessato, ma non era la sua vita. Non si faceva trascinare in discussioni politiche furibonde. Per lui la vita era la letteratura».
È vero che era molto metodico
«Lui amava citare una frase di Flaubert: “Il talento è lavorare ogni giorno”».
Quindi genio e regolatezza.
«Era una persona con una vita regolata da orari e abitudini precise. Si alzava presto, scriveva qualche ora. Poi la sera usciva per vedere quello che accadeva nel mondo. Sarebbe stato interessatissimo a quello che sta accadendo. Lui era interessato alla contemporaneità, uno scrittore in movimento. Moravia ha fatto una cosa molto importante, ha semplificato la lingua italiana. Diceva che la maggior qualità di uno scrittore è saper spiegare in maniera semplice cose complicate. E per questo la sua scrittura è moderna».
Quanto ha influito su di lui la malattia?
«Molto. Era malato di tubercolosi ossea ed è stato educato in casa. Lui ha sofferto moltissimo da piccolo e i libri che gli mandava a Cortina sua zia Amelia Rosselli erano un sollievo. Tra questi c’era l’Ulisse di Joyce, una prima edizione che mi ha lasciato in eredità e dove ci sono ancora gli appunti a matita fatti da lui e, quello che è straordinario, è che nella seconda edizione dell’Ulisse quelle correzioni sono state riprese. E anche l’inglese lo aveva imparato da autodidatta, benissimo. C’è un racconto sulla malattia, Inverno di malato, scritto più o meno allo stesso tempo in cui Thomas Mann scrisse Tristano (che sarà poi l’incipit della Montagna incantata). Ma secondo me Inverno di malato è più bello. Quando guarisce era talmente abituato ad essere malato che a volte aveva nostalgia della malattia e allora a volte tornava a letto. Scriveva a letto. È molto bella la descrizione di quando è a Forte dei Marmi ospite di Curzio Malaparte e i domestici trovano sempre le sue lenzuola sporche di inchiostro. Perché gran parte degli Indifferenti lui lo a scritto a letto».
Quasi una forma di nostalgia per la malattia più che un complesso.
«Anche. Ma quando sua madre gli disse sulla spiaggia di Forte dei Marmi: “Spostati sciancato” lo ha mortificato per sempre, gli è rimasta una ferita aperta».
E il suo rapporto con le donne?
«Con sua la madre, Gina de Marsanich, era rispettoso. Gli piaceva questa madre elegante, un po’ fredda che non sapeva niente di letteratura. Ma la donna che ha influenzato la sua vita è stata Elsa Morante. La sposa nel giorno della battaglia di Stalingrado e i testimoni sono i pittori Capogrossi e Guttuso mentre il prete è padre Tacchi Ventura che era il confessore di Mussolini. Lui ha amato moltissimo le donne e ne ha parlato moltissimo nelle sue opere. Il sesso ha una grande importanza nella sua letteratura. È una metafora per raccontare il mondo come i soldi per Balzac o lo snobismo per Proust. È stato molto innamorato di tutte le sue donne, Elsa Morante, Dacia Maraini e Carmel Llera».
Un tratto comune?
«Lui amava le donne povere e che scrivevano».