Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  agosto 09 Giovedì calendario

Compie 150 anni “La pietra di luna”, il primo libro giallo della storia

Durante l’agosto del 1868 decine di migliaia di londinesi trascorsero molte notti insonni. Aspettavano tutti che gli strilloni invadessero le strade all’alba con i fascicoli settimanali di Household Worlds, rivista diretta da Charles Dickens che, a partire dall’inizio del mese, proponeva le ultime quattro puntate di La pietra di luna, storia ricchissima di intrighi esotici di Wilkie Collins, «il padre del giallo moderno», secondo Agatha Christie. Il periodico di Dickens vide impennare la tiratura, toccando le duecentomila copie per le pagine conclusive della vicenda che arricchì entrambi gli scrittori: Collins confidò in seguito di aver ricavato duemila sterline, pari a tre milioni di euro di oggi. Grazie a quel romanzo, definito da George Orwell «il primo e più grande poliziesco britannico», Collins era diventato l’autore più popolare della sua epoca, superando di slancio l’amico e poi rivale Charles Dickens, con il quale aveva in precedenza condiviso un lunghissimo sodalizio intellettuale. 
LE CELEBRAZIONIIn queste settimane il Regno Unito lo celebra in coincidenza dell’anniversario con rievocazioni storiche dedicate alle sue storie in giallo, mentre i canali tv ritrasmettono gli sceneggiati che ne sono stati tratti. In Italia, intanto, lo rilancia la casa editrice Fazi che nel corso degli ultimi due anni ha proposto tutti i libri da lui firmati nel corso di una lunga e fortunata carriera. 
Nell’autobiografia spiega che da giovane sognava di fare l’esploratore artico. Non ebbe però bisogno di molto tempo per scoprire che il suo fisico non troppo robusto avrebbe mal sopportato gli sforzi richiesti da questa avventurosa professione. Scelte quindi di ripiegare sull’attività letteraria che, sperava, gli avrebbe almeno permesso di viaggiare con la fantasia. L’opera d’esordio apparve nel 1848. Si intitolava Ricordi della vita di William Collins, accademico reale ed era una ricostruzione dalla grama esistenza paterna, uomo pio e conservatore, pittore di scarsa notorietà conosciuto con lo sgradevole soprannome di toady, ovvero leccapiedi. Nonostante qualche generosa recensione le vendite del libro non decollarono. 
Wilkie decise allora di cambiare genere dopo essersi persuaso che il successo poteva arrivare da storie a sensazione da pubblicarsi a puntate. Un pizzico di suspense poliziesca, si convinse, avrebbe poi costituito un ingrediente importante e l’idea fece la sua fortuna: diede alle stampe a sue spese nel 1852 Basilio, ricavandone un ottimo profitto e, soprattutto, attirando l’attenzione di Dickens che gli propose di scrivere per la rivista da lui diretta. L’incontro si rivelò fruttuoso per entrambi: Dickens guadagnò un collaboratore impareggiabile, Collins un protettore di grande autorità. A unirli c’era, inoltre, la comune passione per il teatro, i bordelli, il cibo e lo champagne. 

LA ROTTURA
Dopo quindici anni, però, ci fu una traumatica rottura del rapporto. Accadde proprio nel 1868, quando uscì La pietra di luna, il cui successo rese geloso Dickens. Da giovane protégé Collins era ormai diventato un pericoloso concorrente. Appena si trovò i lettori accalcati davanti all’ufficio del suo periodico, ansiosi di conoscere la soluzione dell’intrigo messo a punto dal rivale, Dickens non riuscì a trattenere un moto di fastidio e, commentando il romanzo, si lasciò scappare con un amico comune che «la costruzione narrativa è a mio giudizio davvero snervante e mette a dura prova la pazienza di chi lo prende in mano». 
I rapporti si raffreddarono in breve tempo, anche se Dickens aveva compreso che il genere poliziesco rappresentava probabilmente la nuova strada della letteratura di massa, come dimostra la prima parte di Il mistero di Edwin Drood, il romanzo al quale lavorò sino all’improvvisa morte nel 1870 lasciando incompiuta l’opera che si arresta al settimo capitolo.

LA SVOLTA
La grande invenzione di Wilkie Collins fu la tecnica narrativa che prevede, al contrario della moda dell’epoca, l’eliminazione del narratore onnisciente. La scomparsa e il ritrovamento del diamante sono infatti riferiti attraverso le parole dei testimoni: ognuno di loro riferisce solo i fatti di cui ha diretta conoscenza, mentre il compito di tentare una sintesi viene affidato al sergente Cuff, eccentrico coltivatore di rose al servizio di Scotland Yard che mette al centro della vicenda la figura del detective professionista, in seguito diventata popolare nell’intera Europa proprio grazie ai narratori britannici.
Anche nella vita privata Collins fu decisamente anticonvenzionale convivendo contemporaneamente con due donne dalle quali, senza sposarle, ebbe quattro figli e creando quella da lui definita «la mia famiglia morganatica». Quando morì, il 23 settembre 1889, lasciò a Caroline Graves e Martha Rudd denaro e beni divisi in parti uguali. Poche persone intervennero ai funerali, poiché la sua condotta sentimentale veniva considerata troppo eccentrica per i castigatissimi costumi vittoriani. La sua lapide, del cimitero londinese di Kensal Green, reca incise queste parole: «William Wilkie Collins, autore di La donna in bianco, La pietra di luna e altre opere narrative». 
A raccontare avventure avvincenti aveva imparato da ragazzino, mentre era in collegio, agli ordini di un capocamerata che prima di addormentarsi pretendeva di essere intrattenuto. Per una buona storia c’era in premio un dolce, mentre una noiosa veniva punita con dieci frustate. Quando raccontava la sua adolescenza Collins sosteneva, probabilmente non a torto, di aver guadagnato molti dolci.