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 2018  luglio 30 Lunedì calendario

Nasce la resistenza alla dittatura degli algoritmi

Mentre le democrazie liberal-rappresentative vivono un’autentica crisi sistemica (ahinoi), si sta di fatto insediando un altro regime. Un regime economico-sociale, ma dalle evidenti (e dirompenti) implicazioni politiche. Quello che alcuni studiosi hanno etichettato come l’algocrazia (il «potere degli algoritmi»), in cui confluiscono il capitalismo delle piattaforme, la società della sorveglianza e le sorti (per nulla magnifiche e progressive) di una società senza lavoro. E dove si ritrovano i germi di quel «totalitarismo cibernetico» messo sul banco degli imputati anche da alcuni libri recenti. 
Volumi che mettono a fuoco, da punti di vista differenti, un aspetto centrale dell’era della rivoluzione digitale, quello della mentalità e della visione del mondo a cui si ispira. Vale a dire l’«Ideologia californiana», definita sul magazine online Mute, nel 1995, dai teorici dei media inglesi Richard Barbrook e Andy Cameron quale «eterogenea ortodossia della sopravvenuta età dell’informazione», una «nuova fede» che scaturiva dalla «bizzarra fusione del bohémianesimo culturale di San Francisco con le industrie high-tech della Silicon Valley», originalissima fusione di neoliberismo, liberalismo «jeffersoniano», retaggi della controcultura hippy (e anarchica), antistatalismo e determinismo tecnologico.La Valle californiana sta incessantemente riconfigurando l’immaginario e l’industria dell’Occidente dall’inizio del Novecento, in questo caso non mediante i film di Hollywood, ma attraverso l’affermazione del primato materiale e simbolico della tecnologia informatica. Che è diventato sempre più saldo man mano che l’industria si smaterializzava, e si sviluppavano le Ict (le tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Al punto che il «filosofo del digitale» Éric Sadin in La siliconizzazione del mondo (Einaudi, pp. 208, € 17,50) individua ben cinque Silicon Valley: la prima del complesso militar-industriale (e accademico) operativa già dagli anni Trenta (e protesa verso l’impegno bellico); la seconda, «romantica», dei garage degli inventori (e di Steve Jobs); la terza della net economy (e dell’irrazionalità generalizzata da boom e bolle speculative); la quarta dell’industrializzazione in senso oligopolistico dell’economia della conoscenza (e della comprensione di vari suoi «lati oscuri»). E, infine, la quinta (e odierna), quella dello «spirito della Silicon Valley», come lo chiama l’intellettuale francese, ovvero dell’ideologia del «tecnolibertarismo» che si fa pensiero unico (e si considera, al tempo stesso, più efficiente e più cool e filantropico del neoliberismo). Un’ideologia in tutto e per tutto, con profeti, intellettuale organici, «missionari», e un paradigma applicabile a ogni fattispecie.
Nel saggio Il nuovo potere (Franco Angeli, pp. 92, € 13) – quello, appunto, delle multinazionali californiane dell’economia digitale – Régis Debray (il rivoluzionario in servizio permanente effettivo dell’America Latina da Che Guevara a Salvador Allende, e il fondatore della «mediologia») delinea un’ulteriore genealogia dell’Ideologia californiana. Rintracciata in quello che etichetta come «neo-protestantesimo» (la religione della disintermediazione tra il singolo e Dio), evolutosi nell’individualismo del do it yourself, a sua volta alla base del modo di pensare dei tycoon della Silicon Valley. Un modello così vincente da avere travolto anche la Francia di fondo culturalmente cattolica, e che, secondo Debray, ha trovato il suo testimonial per eccellenza in Emmanuel Macron, il presidente campione del discorso pubblico e della retorica sulla startup (e già assistente del pensatore protestante Paul Ricoeur). Infine, c’è chi propone alcune ricette molto pratiche per combattere la FREGATURA (acronimo di «Fornire ai Re dell’Economia Globale Annunci che Trasformano gli Utenti Ridotti in Algoritmi») delle corporation high tech e la «dipendenza da connessione». E lo fa uno che se ne intende decisamente, l’informatico e saggista Jaron Lanier (ideatore del termine «realtà virtuale» e dell’accusa di «maoismo digitale» contro Wikipedia), nel suo Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social (Il Saggiatore, pp. 212, € 10), perché – ecco alcuni tra i punti del decalogo – i social media «stanno minando la verità», «stanno distruggendo la tua capacità di provare empatia», «non vogliono che tu abbia una dignità economica» e «stanno rendendo la politica impossibile». E scusate se è poco.