Corriere della Sera, 30 luglio 2018
La tv degli anni ’70 tra idealità delle origini e leggi dell’Auditel
La puntata di venerdì scorso de La Grande Storia era dedicata agli anni 70. Non proprio una trasmissione omogenea, ma con un filo conduttore interessante: la scelta che il decennio ha impresso alla politica, allo sport, alla società in generale (Raitre, ore 21.18).
Si è parlato delle Olimpiadi di Città del Messico 1968, quando i due velocisti neri Tommie Smith e John Carlos con pugni chiusi e mano guantata di nero (simbolo della lotta delle Black Panthers), ricevettero le medaglie sul podio. A seguire, le Olimpiadi di Monaco di Baviera 1972 e il massacro degli atleti israeliani da parte del gruppo estremista palestinese Settembre nero. Poi ancora la Coppa Davis vinta dall’Italia a Santiago del Cile 1976. La Grande Storia ha anche proposto due importanti eventi italiani del 1978: lo scandalo Lockheed, che portò alle dimissioni del presidente della Repubblica Giovanni Leone (risultato poi del tutto innocente), e la legge Basaglia, giusto tributo a uno psichiatra artefice di una riforma che sembrava impossibile: chiudere i manicomi.
Nel lungo servizio di Vanessa Roghi è stato sottolineato il ruolo della Rai nell’approvazione di questa importante legge (celebre il Tv7 I giardini di Abele di Sergio Zavoli del 3 gennaio del 1969). Momenti importanti dell’informazione, anche se gli anni 70 rappresentano il lungo trapasso dalla idealità della tv delle origini all’avvento delle tv commerciali, la lenta, opaca transizione dalla progettualità forte alle leggi dell’Auditel.
Fluttuano lì, in mezzo, né carne né pesce: anni malandrini ma ancora fortemente democristiani, anni in cui vigeva il dogma del «credere, obbedire, minimizzare», i famosi anni dei mezzibusti così sapidamente raccontati da Sergio Saviane. I famosi anni della lottizzazione, quel morbo delle istituzioni inutilmente denunciato da Alberto Ronchey nel 1968.