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 2018  luglio 30 Lunedì calendario

La rana infinita di Fabio Scozzoli: «Rinato grazie a lavoro e silenzio»

Un tempo parlare di Fabio Scozzoli uomo medaglia e punta dell’Italia che nuota era scontato. Poi la sua carriera ha preso una piega grigia e inattesa, tra il flop olimpico di Londra, un brutto infortunio nel 2013 («Rompere il crociato è la sfiga peggiore per un ranista…») e quelle che definisce «scelte tecniche sbagliate». Dai Mondiali di Budapest 2017, però, il ranista silenzioso è uscito dal purgatorio fino a realizzare, lo scorso aprile, a 29 anni, i suoi record personali. E presentarsi ai prossimi Europei di Glasgow nuovamente come uomo medaglia. Nuovamente punta. Nuovamente grande.
Caro Fabio, benvenuto nella nuova vita.
«Nuova vita forse è esagerato. Di certo la lunga crisi aveva innescato meccanismi negativi. Uscirne non è stato facile».
Come ha fatto?
«Con un nuovo metodo di lavoro, più da velocista: meno km, più palestra. E sono tornate le antiche sensazioni».
Nessun lavoro mentale?
«Io credo che sulle componenti mentali dei successi sportivi si ricami un po’ troppo. I miei cambiamenti sono stati tecnici, io sono sempre rimasto lo stesso: mai esaltato dalle vittorie, mai depresso dalle sconfitte. L’equilibrio è la mia forza, è un dono che deriva dal mio babbo».
Il famoso Fabio antidivo.
«E, aggiungo, molto poco social. Mi hanno paragonato spesso a Dovizioso, romagnolo come me. Lo conosco bene e mi ci rivedo: riservato, sto nel mio mondo, non mi preoccupo di apparire».
Uomo d’altri tempi?
«Forse sì. E sul piano agonistico lo ritengo un pregio. Certo, su quello mediatico è un grosso difetto… Tanto per dire, non mi sono neanche candidato a fare il capitano dell’Italia dopo l’addio di Magnini (ora è Turrini, ndr)...».
Ma non si dice che il ranista è un tipo pazzo?
«Già. Ma io ho una doppia anima. Amo velocità, adrenalina, paracadute, bungee jumping. Lo so che non si direbbe vedendomi da fuori…».
Perché la rana?
«Ci devi nascere. È lo stile che ti sceglie, non tu che scegli lui. Io andavo bene in tutto, infatti sono un buon mistista. Poi a un certo punto è arrivata la chiamata e non ho più cambiato».
Come si regge tanti anni nello stile più complesso e in evoluzione di tutti?
«Tecnica, cura del dettaglio e partenza sono da sempre i miei punti forti. Adam Peaty (il fenomeno inglese primatista mondiale dei 50 e dei 100, ndr) ha cambiato tutto sul piano del metodo di lavoro. Ora i 100 sono uno sprint lungo, velocità pura che esige potenza. Non a caso l’evoluzione è velocissima: il mio 26”73 nei 50 agli ultimi Assoluti (record italiano, ndr) era record del mondo solo 3 anni fa».

E lei, più il tempo passa, va sempre meglio proprio nei 50: agli ultimi Europei in corta ha battuto pure Peaty.
«A 30 anni (che compie venerdì 3 agosto, primo giorno di gare, ndr) è più facile migliorare su potenza e velocità che sulla resistenza. Ecco perché le carriere si allungano e addirittura si migliora».
A Glasgow con quali obiettivi?
«Nei 50 non mi nascondo: voglio il podio. Nei 100 punto alla finale, poi lì ci si prova…».
L’Italia, senza Detti k.o. e con la Pellegrini che non fa i 200 stile, perde 4 medaglie praticamente certe.
«Già. Ma il nostro livello medio è alto e il ricambio è già in atto: pensi a Cusinato, Panziera e Quadarella fra le ragazze, oppure a Miressi fra i ragazzi. E mi spiace che manchi Martinenghi (infortunato, ndr) nella rana: sarebbe stato uno stimolo in più per me».
Glasgow è una tappa chiave verso Tokyo?
«Ogni gara, anche la più piccola, è la tappa di un lungo viaggio. Un’altra Olimpiade a 32 anni mi piacerebbe: a Londra ho fatto schifo, Rio l’ho saltata, a Tokyo bisogna esserci per forza».
Magari per aggiornare il suo tatuaggio olimpico?
«Dopo il 7° posto di Londra ho tatuato sul petto i 5 cerchi e l’ora di quella finale: la sconfitta marchiata sulla pelle come stimolo costante per crescere. E ora il tempo della rivincita si avvicina».