Corriere della Sera, 30 luglio 2018
Bortolotto, affamato di bellezza
Dopo Corrispondenze (2010) e Fogli multicolori (2013), Il viandante musicale è la terza raccolta di miscellanee di articoli, saggi e studi che Adelphi ha recentemente pubblicato, a una decina di mesi di distanza dalla morte di Mario Bortolotto: avvenuta il 27 settembre 2017, un mese dopo aver compiuto novant’anni. Un nuovo corso, giacché sempre, in passato, erano uscite opere a tema o monografie: Introduzione al Lied romantico, Fase seconda. Studi sulla Nuova Musica (sulla musica del secondo Novecento), Consacrazione della casa (sul melodramma), Dopo una battaglia (sulla Francia tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del XX secolo), Est dell’Oriente (sulla musica in Russia), Wagner l’oscuro e La serpe in seno (alias Richard Strauss).
In breve, Il viandante musicale si presenta come un’antologia di specifici approfondimenti analitici, riflessioni ad ampio raggio, commenti di schietta cronaca giornalistica (esilarante, nella sua ferocia, il reportage sulla Biennale di Venezia del 1979, intitolato La Biennale poareta). Stesi dal 1961 al 2004, furono pubblicati su riviste, settimanali, quotidiani e soprattutto in programmi di sala; proprio in ragione della loro destinazione editoriale, le dimensioni dei singoli capitoli sono piuttosto modeste: solo in un paio di casi superano le trenta pagine. Come può agevolmente prevedere chi già si sia imbattuto in qualche scritto bortolottiano, la lettura delle 500 pagine che compongono questa nuova, postuma, pubblicazione è a dir poco impegnativa: anche per lettori eruditi o professionisti della musica. Come ha scritto Jacopo Pellegrini – storico e critico musicale, per molti anni vicino a Bortolotto e suo collaboratore, curatore con Guido Zaccagnini di Vivere senza paura. Scritti per Mario Bortolotto (Edt, 2007), al quale, con Roberto Colajanni, l’Adelphi ha affidato la curatela editoriale di questo Viandante musicale – «definire criptiche le allusioni contenute nei testi di Bortolotto è un pallido eufemismo». Verissimo, ma non bisogna scoraggiarsi; è anche vero, infatti, che il volume può essere affrontato con la dovuta calma, letto a rate e scegliendo di volta in volta uno qualsiasi degli argomenti trattati, i quali – suddivisi in Saggi, Soirées, Interviste e Interpreti – non implicano alcuna consequenzialità: tant’è che i vari capitoli (una sessantina) nemmeno si susseguono secondo un ordine cronologico o tematico.
Ancora una volta, speriamo non l’ultima, si resta abbagliati – oltre che, beninteso, dalle formidabili connessioni storico-estetiche, da letture interpretative tanto inedite quanto sorprendenti, da autentiche scoperte musicologiche – dalla scrittura di Bortolotto: una prosa che non ha eguali nel repertorio esegetico musicale (italiano e non solo) e che lo apparenta di diritto a scrittori e studiosi quali Roberto Longhi, Gianfranco Contini, Mario Praz, Giovanni Macchia.
Ho scritto «speriamo non l’ultima», poiché in questa silloge – che meritoriamente Roberto Calasso, direttore dell’Adelphi, nonché amico di Bortolotto dal 1961, ha inteso dedicargli – mancano purtroppo alcuni testi, ormai pressoché irreperibili, di decisiva importanza: come, per esempio, Agudeza y arte de teclado, dedicato alle opere pianistiche di Luis de Pablo: compositore da lui a lungo ammirato.
Nel titolo del libro sono sintetizzati diversi aspetti dell’uomo e dello studioso. Naturalmente, il primo richiamo è al Wanderer, a quel viandante protagonista per eccellenza dei Lieder di Schubert, Schumann e via via fino a Wolf; e l’amore di Bortolotto per la Romantik è sempre stato un suo punto fermo, inscalfibile, sin dal 1962, anno in cui la pubblicazione di quel piccolo miracolo che è l’Introduzione al Lied romantico sanciva il suo ingresso nella storia della musica e della letteratura.
Ma Bortolotto è stato egli stesso un inossidabile Wanderer epicureo dei nostri giorni: capace di passare un intero pomeriggio in un tempio shinto in Giappone all’ascolto del sommesso cantare di monaci, o sdraiato su una spiaggia di Salvador de Bahia – ospite dell’amico Pietro Gallina – a godersi sole e aragoste. Mai appagato dalle proprie conoscenze, è stato per tutta la vita un uomo animato da un’incessante curiosità (per la musica, certamente, ma anche per la letteratura, il cibo, la pittura) e da un’autentica famelicità per il bello e l’eterodosso. La sua mente, come ancora ha scritto Jacopo Pellegrini, era perennemente accesa «per il Nuovo, di qualsiasi epoca e in qualsiasi forma» si presentasse.
Dal titolo del libro alla sua ultima riga, alla frase con cui anche si concludeva un colloquio con Ludovica Ripa di Meana, pubblicato nel 1983: «Non si legge, o si ascolta musica, per istruirsi. Si legge, o si ascolta musica, per vivere». Affermazione meravigliosa, ma non del tutto originale: in realtà, una parafrasi di quanto scrisse nel 1857, a Mademoiselle Leroyer de Chantepie, Gustave Flaubert, autore da Bortolotto letteralmente venerato e spesso citato: «Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi, o, come fanno gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere». Ecco: qualcuno potrà cogliere l’allusione, il non dichiarato rimando all’autore de L’educazione sentimentale, qualcun altro no. Ma a tutti viene data l’occasione di riflettere sul suo significato, di goderne e depositarla nel proprio archivio mentale e culturale.
Mario Bortolotto, ove che sia in questo momento, continua a elargirci conoscenza e bellezza: gliene siamo grati.