Tuttolibri, 28 luglio 2018
«Ho visto una donna uccisa in video e purtroppo non c’era finzione». Intervista a Peter James
Il settimo giorno si riposa, come da comandamento: tennis, corse di auto d’epoca di cui è collezionista, passeggiate con i cani. Dal lunedì al sabato invece produce senza sosta, perché la scrittura è la sua droga e dice che non può farne a meno. Il risultato sono 14 libri in 14 anni tradotti in 36 lingue.16 milioni di copie vendute. I numeri da soli non sono garanzia di qualità, ma Peter James è un caso piuttosto raro di autore di thriller belli e profondi, che uniscono attenzione alla parola, intrecci inediti e mozzafiato, un lato psicologico originale. Ha grande rispetto per i lettori che lo ricambiano con devozione.
Fino a 55 anni, nel 2003, la sua vita è stata un’infilata di semi fallimenti: non ammesso a Oxford, rifiutato da tutti gli editori a cui aveva proposto i suoi romanzi di spionaggio o sentimentali, un lavoro nella ditta di guanti di famiglia, fornitrice della famiglia reale (ora rimasta alla sorella Cornelia). Negli Usa fa l’uomo delle pulizie (per poi scoprire che il singolare padrone di casa è Orson Welles), sceneggia film horror a basso costo e ne produce 26 non memorabili (Spanish Fly si è guadagnato il titolo di «peggior film inglese dalla II Guerra Mondiale»). Dopo il successo planetario della «Saga della Morte (c’è sempre la parola Morte nel titolo) con protagonista l’amato detective Roy Grace, si è preso le sue rivincite verso ex compagni di scuola (leggi Martin Amis, che odia ricambiato). È amico di divi conosciuti a Hollywood, da Joan Collins a Harvey Keitel, da Mickey Rourke a Sharon Stone, con la quale si vocifera di una storiella romantica, e di Camilla Parker Bowles, moglie del Principe Carlo, sua grande fan. Gossip che aiutano a capire l’eccentricità del personaggio, tra l’altro critico gastronomico per il giornale locale di Brighton. Vive in una specie di fattoria con gatti, cani e una mezza dozzina di galline (Bella, Clio & Co., ognuna ha un nome) e la giovane e bellissima moglie sposata due anni fa.
James è un profondo conoscitore di crimini e indagini: bazzica commissariati, aiuta gli investigatori che gli chiedono consigli. È grande amico del capo della polizia di Brighton David Gaylor (l’ispiratore del commissario Grace), che è più importante del suo editor: legge ogni storia prima di tutti, corregge, emenda. Perché dai tempi di Conan Doyle del delitto in sé non frega niente a nessuno, è il movente, l’essere umano che ci sta dietro, il lato interessante della faccenda. Nell’ultimo Una morte in diretta Roy Grace è alle prese con una forma di crimine del tutto nuova. Si tratta di killer che girano snuff movies, filmati nei quali si torturano o si uccidono persone per il solo scopo di produrre il video, perché c’è gente disposta a pagare un sacco di soldi per vederli. Qui una coppia viene rapita e tenuta in catene in una fabbrica e potrebbe fare la stessa fine di una donna uccisa a coltellate e ripresa in un dvd che Grace trova sul treno.
Si è di nuovo ispirato a una storia vera?
«Purtroppo sì. Un giorno dal commissariato di Brighton mi chiedono un parere. Devo capire se il video in questione è vero o se la donna uccisa sia un’attrice. Tutto reale e orribile, ho iniziato a chiedermi: cosa è questa storia?».
E cosa era?
«Una brutta vicenda di traffici nell’Europa dell’Est, probabilmente un’esecuzione rituale legata a un rito satanico. Indagando abbiamo scoperto che ci sono persone disposte a pagare anche 500mila euro per vedere dei filmati di morte online. Mi sono interrogato su che tipo di persona potesse pensare una cosa così. Ero spaventato».
Ha trovato una riposta?
« Ognuno di noi è un potenziale killer, ma poi ci sono persone che diventano assassini e altri che si fermano prima. La differenza sta nella coscienza».
Lei di assassini ne ha conosciuti tanti. Va ancora nelle carceri a parlare con loro?
«Certo. Mi affascina incontrare i killer. C’è gente che ti racconta in maniera glaciale come ha ucciso qualcuno solo perché aveva un pistola e quindi doveva usarla. Ne parlano come se fosse una cosa normale. Ho una pistola, devo sparare».
Nessuno pentito?
«Mi ricordo di uno che ha trovato la moglie a letto con un suo amico e li ha uccisi. Gli hanno dato 18 anni. Mi ha raccontato: mi sveglio tutte le notti piangendo, vorrei riportare indietro l’orologio del tempo per non farlo».
Lei vede il lato più buio dell’umanità?
«Più di me i poliziotti, loro sono i migliori conoscitori dell’animo umano. Loro vedono veramente quello che l’uomo è capace di fare».
Quanta verità e quanta fantasia nei suoi romanzi?
«Metà e metà.Mi ispiro spesso a persone che ho conosciuto. Sono attratto dai criminali e dalle vittime, ma anche da chi indaga».
Ispirandosi spesso alla realtà, di cosa non scriverebbe mai?
«Di pedofilia. E’ una cosa talmente disgustosa di cui non voglio parlare nei miei libri. I miei cattivi sono personaggi oscuri, ma hanno anche un lato affascinante».
Perché crede che i lettori amino i thriller?
«Perché l’uomo è geneticamente programmato per sopravvivere. Chi legge vuole capire come riuscire a farlo. Ognuno pensa che qualcosa del genere potrebbe capitare anche a lui. Poi nella fiction arriva l’eroe che mette tutto a posto e quindi tranquillizza».
Guarda serie in tv?
«Breaking Bad è la migliore. Bello anche The Night Manager. Il problema è che con le serie si perde troppo tempo e quelle poliziesche sono poco accurate e mi annoiano perché non c’è la ricerca, ciò che a me piace di più».
Più serie o più libri?
«Volumi sulla storia religiosa. O thriller. Ma è difficile, ricevo anche dieci libri a settimana, quando scrivo non leggo fiction per evitare che lo stile sia influenzato».
La cosa più importante?
«L’ultima pagina è fondamentale: è quella con cui ti congedi dal lettore e lasci il segno. Mal’incipit è tutto. Dalla prima frase capisco se vale la pena leggere un libro. Alcuni te li ricordi per sempre».
Uno?
«1984 di George Orwell: “Era una luminosa e fredda giornata d’aprile e gli orologi battevano tredici colpi”».
Con gli incipit si potrebbe andare avanti per tutta la serata, ma abbiamo fatto le cinque del pomeriggio ed è tempo di congedarsi. Nella precisa routine giornaliera di Peter James è l’ora della passeggiata pomeridiana con i cani e poi alle sei inizia a scrivere. Fino alle 10 di sera, unici compagni un bicchiere di vodka martini con 4 olive siciliane e la musica (rock fino ai 2/3 del libro, classica per il resto). Ogni giorno che dio mette in terra. A parte la domenica.
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