La Stampa, 29 luglio 2018
Intervista ad Alain Ducasse
Alain Ducasse è uno degli chef più premiati del mondo. Noto non solo per la sua incomparabile cucina, ha elaborato concetti innovativi che riflettono le influenze internazionali e si è guadagnato una reputazione unica al mondo.
Perché ha scelto di fare il cuoco?
«L’ho deciso quando avevo 12 anni, per la disperazione dei miei genitori. Tutti i miei amici volevano diventare piloti o ingegneri. E mia madre diceva: “E tu vuoi diventare cuoco?”».
Ora è più un uomo d’affari che gestisce ristoranti in tutto il mondo, pubblica libri e guida scuole di formazione o si sente ancora un cuoco?
«Sono un cuoco, non un uomo d’affari. Ho un grande team che mi aiuta a gestire la mia attività e più di 2000 collaboratori in tutto il mondo».
La cucina francese è la più importante del mondo?
«Sì, per via delle tecniche e la codifica delle regole, è come il solfeggio nella musica. C’è la regola e poi, dopo, c’è la creazione. Ma la base della cucina francese è la regola che può essere utilizzata in molte altre cucine. Questo è ciò che ho imparato quando ho iniziato a lavorare».
Il buon gusto è qualcosa che si può apprendere?
«Sì ma si deve essere aperti. Ci vuole del tempo per assimilare tutto il necessario».
Oggi quante stelle Michelin ha?
«Venti. Ma non ho solo ristoranti con stelle Michelin. Alcuni non ne hanno nemmeno una».
Quanti ristoranti ha?
«Venticinque. Ho una grande squadra per aiutarmi a gestirli e collaboratori di lunga data, quelli più stretti sono con me da oltre 25 anni. Sono chef, pasticcieri, sommelier. Molti sono stati con me fin dall’inizio della loro carriera. L’80% dei miei collaboratori è arrivato dalla gavetta. Ci piace promuovere e aiutare le persone a crescere all’interno dell’azienda. Ad esempio, l’ Executive Chef del mio ristorante The Dorchester di Londra, Jean-Philippe Blondet, è con me da 14 anni, e ne ha solo 35! Era a Monaco, a Parigi, a Hong Kong e ora a Londra».
Qual è il segreto del successo di Alain Ducasse?
«Il Dna della cucina francese, i fondamenti, l’attenzione per l’approvvigionamento, la provenienza e la selezione dei prodotti, la loro preparazione, il giusto condimento, la giusta cottura. Inoltre, ci dev’essere armonia tra il contenuto e il contenitore: tutti gli elementi che entrano in gioco e il piatto stesso; tutti gli elementi che contribuiscono a servirlo - argenteria, porcellane, bicchieri. E l’ambiente creato attorno alla cucina».
L’alta gastronomia fu creata da Luigi XIV?
«La cucina del re era molto sofisticata, varia e diversificata, perché utilizzava prodotti provenienti dalle varie regioni francesi. C’era un ordine specifico nel menu, che era molto scenografico, e comprendeva arredi per la tavola, argenteria, porcellana, cristalleria. Propongo l’alta gastronomia nella reggia di Versailles con cene ispirate alle feste reali servite a corte 300 anni fa. C’erano dai 10 ai 25 piatti, ma gli ospiti potevano scegliere, non li mangiavano tutti. Alla zuppa di verdure seguivano verdure, pesce e crostacei, pollame, selvaggina, stufati. Oggi, nel mio ristorante a Versailles, servo 10 portate».
Quali sono le sue specialità?
«Non ne ho. Non le amo, creano abitudini. Non voglio che i miei collaboratori preparino in continuazione le stesse cose più e più volte. La cucina non è una questione di ripetizione; voglio assicurarmi che i miei collaboratori siano addestrati a lavorare con pesce e crostacei, carne, selvaggina, verdure».
Cucina ancora?
«Sì, per i miei amici, a casa. Ma assaggio tutto quello che viene servito nei miei ristoranti. Decido tutto e gusto tutto, ogni giorno e ogni notte. È il mio lavoro».
Quindi è ancora un bravo cuoco?
«Sì, perché assaggio ogni giorno. Devo avere una visione per i miei ristoranti, sono come un direttore artistico. Sono il designer della mia cucina, quello che pensa ai dettagli di tutto ciò che viene servito nei miei ristoranti e, soprattutto, alla loro evoluzione. Una volta che un ristorante è aperto, dobbiamo continuare a creare. La chiave del successo è l’innovazione, continuare a evolversi e migliorare. Dobbiamo cercare sempre la perfezione senza mai raggiungerla».
Tutti i suoi cuochi sono francesi?
«No, per esempio, i miei due cuochi in Giappone sono giapponesi. Io cucino sulla base della tradizione francese, ma in Giappone l’85% dei miei clienti è giapponese. A Londra, l’85% dei miei clienti sono britannici. Ovunque nel mondo, i nostri clienti sono locali. Oggi la cucina francese seduce un vasto pubblico in quanto è riuscita ad adattarsi alla società in cui si trova. I miei clienti in Giappone sono giapponesi, quindi dobbiamo sedurli».
Come li seduce?
«Con la più perfetta cucina francese contemporanea. Gli ospiti sono curiosi, esigenti, ben informati e hanno viaggiato molto, e c’è parecchia concorrenza. Negli ultimi 25 anni c’è stata una rivoluzione nel panorama culinario di Londra e New York. Non abbiamo altra scelta che dare il massimo per essere innovativi ed essere i migliori».
Come sono i nuovi chef?
«Appassionati e competitivi visto che il mercato è così saturo. Ogni volta che viaggio, scopro nuovi talenti. Di recente ero a La Mercerie a New York ed è stato semplicemente magnifico. E semplicemente magnifico non è facile. Dico sempre che al 95% è lavoro e al 5% talento».
Ha preparato la cena per il presidente Putin e il presidente Trump?
«Ho ricevuto il presidente Putin a Versailles e il presidente Trump a Le Jules Verne sulla Torre Eiffel. I menu erano molto diversi, otto portate per Trump e dodici per Putin. Alla corte russa c’è sempre stata una tradizione di alta gastronomia con una base francese. Trump ha davvero apprezzato tutto ciò che gli è stato servito: sogliola, spinaci, torta di carne, verdure del giardino della reggia di Versailles, manzo con salsa Rossini e patate soufflé. E per finire un soufflé fatto con il cioccolato del mio atelier parigino insieme con un gelato ai frutti rossi. Tutte cose semplici, ma buone e gustose. Ho anche preparato una cena per il presidente Xi Jing Ping, e per lui c’erano 20 portate».
A parte quella francese, quali altre cucine le piacciono?
«Mi piace molto la cucina italiana, perché così varia. Quella umbra è diversa da quella che si trova in Piemonte, in Sicilia, in Puglia o in Toscana. Amo l’Italia. Sono molto influenzato dal Mediterraneo e dall’Italia in particolare. A settembre aprirò un ristorante italiano a Parigi che si chiamerà Cucina, con influenze principalmente toscane e la rusticità della terra e del mare».
Presto varerà una barca da crociera ristorante a Parigi?
«È una barca straordinaria che navigherà sulla Senna. Arriva a Parigi ad agosto e a settembre sarà pronta per accogliere ufficialmente gli ospiti. È la più grande barca elettrica del mondo, dotata di una cucina completamente attrezzata. Sarà un ristorante e si chiamerà Ducasse sur Seine. Sarà attraccata nel sedicesimo distretto, passerà oltre l’isola di Saint-Louis, andrà fino a Bercy, e tornerà dopo un’ora e mezza».
(traduzione di Carla Reschia)