La Stampa, 29 luglio 2018
Macron accelera: Libia al voto a dicembre. E dal mazzo spunta il figlio di Gheddafi
Avanti tutta, a ogni costo. Verso elezioni democratiche in Libia, il prossimo 10 dicembre. L’obiettivo è perseguito con determinazione da Emmanuel Macron e dal suo ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian, mentre gli americani dall’area sembrano defilarsi e in Italia la situazione post-elezioni resta confusa: l’occasione per la Francia di strappare lì un nuovo ruolo. Irrealistica la scadenza? Tanti lo pensano e qualcuno, come l’Italia, lo dice. Mentre per le consultazioni presidenziali potrebbe spuntare un candidato incomodo e imprevisto dall’Eliseo: Saif, il figlio di Muammar Gheddafi.
I diversi protagonisti del prunaio libico si impegnarono a quelle elezioni in un vertice lo scorso 29 maggio all’Eliseo, sebbene con un accordo orale e non scritto. Testardo, Macron a quell’impegno ci crede. «Siamo coscienti che ci sono rischi a voler andare troppo in fretta – sottolineano fonti vicine al ministero degli Esteri francese -. Ma è ancora più rischioso decidere di andare lentamente. Basta vedere quello che è appena successo nella Mezzaluna petrolifera». È l’area dove si concentrano i principali terminal. A metà giugno Ibrahim Jadhran, personaggio più o meno mafioso, l’occupò con alcune milizie. È stata poi liberata dal generale Khalifa Haftar, il padrone della Cirenaica, che inizialmente non voleva restituirne il controllo alla Noc (National Oil Corporation), l’ente petrolifero statale, unico interlocutore riconosciuto per il settore a livello internazionale. Haftar, alla fine, ha ceduto. «Ma l’episodio dimostra che in Libia, se non si fanno elezioni e non si eleggono un presidente e un Parlamento legittimi – sottolineano le stesse fonti -, tutto si deciderà con la forza e basta».
Il tour di Le Drian
Lunedì scorso Le Drian è volato in Libia, dove, in poco tempo, ha visto un po’ tutti. Non solo Haftar (interlocutore privilegiato della Francia), ma anche Fayez al-Sarraj, il premier del Governo installato a Tripoli, il presidente del Parlamento (basato a Tobruk) Agila Saleh e perfino i rappresentanti delle milizie di Misurata. Al ritorno a Parigi, ha riferito a Macron e subito dopo, assicurano al Quai d’Orsay, ha chiamato Enzo Moavero, il ministro degli Esteri italiano («tra i due il rapporto è molto buono, fortunatamente non abbiamo a che fare con altri ministri del nuovo esecutivo»). Le Drian ha assicurato che i libici si stanno organizzando. Tra domani e martedì si vedrà se fanno sul serio. Perché il Parlamento libico è chiamato a votare la nuova legge costituzionale, che deve poi essere approvata da un referendum entro metà settembre, se si vuole arrivare alle elezioni il 10 dicembre.
Volti vecchi e nuovi
Secondo fonti diplomatiche francesi, alle consultazioni non si presenteranno «solo i politici oggi in carica, ma anche forze nuove». Ebbene, Jean-Yves Ollivier, uomo d’affari, per anni esponente di una diplomazia parallela di Parigi in Africa (ma oggi non è per niente in sintonia con Macron), ha assicurato ieri a «The Times» che pure Saif Gheddafi, un tempo figlio prediletto del rais (è stato liberato dal carcere l’anno scorso), si sta scaldando per le presidenziali. Saif, molto vicino a Ollivier, ha riferito al francese che i «gheddafisti» sarebbero almeno due milioni. Potrebbe vincere.
È una prova ulteriore per Jalel Harchaoui, ricercatore dell’università Parigi 8, che «la fretta di Macron è uno sbaglio. E, anche se le elezioni si svolgessero regolarmente, non è detto che risolvano il problema libico». «Lì i francesi – continua – sono degli outsider, rispetto agli americani e agli italiani. Macron utilizza le elezioni come una scommessa. Se la vince, Parigi ritorna in gioco. Se va male, pace». Ma per Harchaoui le consultazioni possono scatenare nuovi attacchi dell’Isis e il caos: «E allora un aumento dei migranti si ripercuoterebbe sull’Italia, perché arriveranno in Sicilia e non a Marsiglia. E anche sul petrolio, Eni ha molto più da perdere di Total».
La Total contro Eni
Il gruppo italiano nel 2017 ha prodotto in Libia, tra greggio e gas, l’equivalente di 384mila barili al giorno e quello francese appena 31mila. Le malelingue dicono proprio che l’iperattivismo di Macron vorrebbe spianare la strada a Total. Invece, secondo Francis Perrin, esperto di energia all’Iris di Parigi, «ritrovare un contesto più stabile in Libia è un vantaggio per tutti gli operatori del settore. Senza contare che adesso, con il crollo dell’estrazione in Venezuela e le sanzioni sull’Iran, la produzione di petrolio in Libia non deve più calare. E questo negli interessi di tutti. Era rimasta a lungo a un milione di barili al giorno. Ma con la crisi della Mezzaluna tra giugno e luglio, si è scesi già a 700mila. Non si può andare sotto».