Il Sole 24 Ore, 29 luglio 2018
Come arriviamo a scoprire l’assassino
Come si viene a capo di un enigma? In molti modi. Ci aiuta a capirli la crime fiction, letteratura costruita intorno all’invenzione di crimini immaginari. Nasce a metà Ottocento, cresce e investe nuovi ambiti fino ai trionfi degli anni recenti. È diventata ingrediente fondamentale di serie televisive, romanzi, biografie, storie di spionaggio.
Stefano Calabrese e Roberto Rossi, dell’Università di Modena e Reggio Emilia, ci raccontano il debordare progressivo degli elementi del canone ottocentesco: enigma, storia e soluzione. Nell’ultimo secolo il criminale, originariamente un reietto, può appartenere a qualsiasi classe sociale fino a culminare in Felix Krull, il protagonista inventato da Thomas Mann nell’omonimo romanzo pubblicato postumo. Felix Krull, un vero sovversivo, libera dai vincoli del perbenismo borghese chiunque incontri sulla sua strada rendendo tutti più felici. Una caricatura degli utilitaristi che, fin dai tempi di Adam Smith, professano quel profittevole e inconsapevole altruismo su cui si fondano le società capitaliste.
Anche la storia della scienza può venire letta come una triade fatta di storie, enigmi e investigatori. Consideriamo la scoperta della penicillina, raccontata da Laura Felline dell’Università di Roma Tre in un brillante e sintetico saggio dedicato alla storia della spiegazione scientifica.
Il 3 settembre 1928 Alexander Fleming torna al lavoro dopo una vacanza e ritrova delle colture di stafilococco. Nota che ce n’è una con una zona in cui lo stafilococco non è cresciuto. La zona è circondata da una muffa che ha contaminato la coltura. Come mai? Perché lì e altrove no? Un enigma. Fleming pensa che la causa sia la muffa, identificata come appartenente al genere Penicillium. Questa inferenza suggerisce la direzione della successiva ricerca. Dopo aver ipotizzato l’esistenza di una sostanza antibatterica nella muffa Fleming procede a verifiche. L’inferenza iniziale anticipa le conferme definitive. Questo tipo di dimostrazione si chiama «abduzione», termine coniato dal filosofo e logico americano Peirce.
Il detective Maigret, creato da Simenon, procede per abduzioni. Grazie a una ricostruzione accurata della scena del delitto immagina come sono andate le cose. E tuttavia, per consegnare il colpevole alla giustizia, ha bisogno di una confessione finale. Diverso è il caso di Nero Wolfe, l’eroe inventato da Rex Stout, che si serve di un fidato collaboratore per raccogliere le informazioni necessarie alla diagnosi del caso. Alla fine Nero Wolfe invita a casa tutti i protagonisti della storia e smaschera il colpevole nel corso di un confronto drammatico. Si tratta di un processo induttivo che restringe il campo delle ipotesi fino alla confessione finale, sempre necessaria.
La prima crime fiction risale al 1841, l’anno della pubblicazione de Gli assassinii della Rue Morgue di Edgar Allan Poe. L’investigatore parigino Auguste Dupin è dotato della capacità di guardare «dentro la finestra che la maggior parte degli uomini ha sopra il cuore». L’analisi delle intenzioni, nascoste nell’animo, conduce alla scoperta del fatto X, la prova definitiva. La soluzione dell’enigma equivale a un sillogismo deduttivo. «Se Tizio ha fatto X, Tizio è colpevole. Ho scoperto X. Tizio è colpevole». Non c’è bisogno di alcuna confessione. Dupin scopre il colpevole prima della polizia prigioniera dell’empirismo e del ragionamento induttivo.
L’affermarsi dei libri gialli – così chiamati solo in Italia per il colore delle copertine di una serie pubblicata dal 1929 – si arricchirà con la scuola americana inaugurata da Raymond Chandler. I nuovi detective, uomini duri, «non hanno paura del lato sordido delle cose e della violenza» e si muovono in trame ricche di suspense, di scoperte inattese. Solo negli ultimi tempi troviamo donne vere, che fanno un lavoro tradizionalmente da uomini, come il vicequestore aggiunto Giovanna Guarrasi in Sabbia nera di Cristina Cassar Scalia. Si tratta di un fantastico ritorno al giallo “classico”, logica e istinto meravigliosamente mescolati.
La crime fiction precede di qualche decennio la nascita della psicologia sperimentale del pensiero. Alcuni giallisti, come Marco Malvaldi, hanno utilizzato le scoperte degli studiosi del ragionamento (Domenicale del 7 gennaio 2018). Gianrico Carofiglio, in Una mutevole verità(2014), descrive i pericoli della focalizzazione, studiata a lungo dagli psicologi: «… bello quando un’indagine sembra indicare una direzione previlegiata. Ma c’è il rischio di tralasciare altri dettagli … e lì c’era qualcosa fuori posto, un’incoerenza, un elemento dissonante …»”.
La spiegazione degli enigmi scientifici e polizieschi si serve delle scienze cognitive, ma anche queste ultime possono trarre vantaggio dallo studio degli enigmi. Gli esperimenti di Maya Bar-Hillel, professore emerito dell’università di Gerusalemme, Tom Noah e Shane Frederick del dipartimento di management di Yale, mostrano come le difficoltà nel risolvere gli enigmi (riddles in inglese) siano fondamentali per scoprire l’architettura della mente. Un tema che è stato toccato più volte da Noam Chomsky e da Bar-Hillel, che ha presentato il suo recente lavoro nel corso del convegno annuale di psicologia del pensiero a Londra il 25 luglio.
Il 31 maggio a Roma, Eldar Shafir, dell’università di Princeton, è stato invitato dall’Ordine Nazionale degli Psicologi a una conferenza dedicata alle future professionalità. Shafir ha raccontato il suo lavoro come responsabile del gruppo istituito dal Presidente Obama per migliorare le condizioni di vita delle persone economicamente disagiate. Si è servito di una serie d’illusioni sorprendenti, dalla percezione al pensiero, mostrando quanto siamo inclini a ricadere sempre negli stessi errori.