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Adriana Cammi: «Io, prima donna a guidare la celere»
Da bambina sognava di fare la veterinaria ma invece di salvare animali la vita l’ha portata altrove. E dopo la laurea in legge si è ritrovata a difendere bambini abusati e controllare la sicurezza giorno e notte degli abitanti della sua città, Cagliari. Da 28 anni indossa la divisa della polizia e ora Adriana Cammi, sorriso aperto e carattere volitivo, sarà la prima donna in Italia a guidare un Reparto mobile.
La vecchia celere, luogo maschile, muscolare per eccellenza. Con la sua nomina, annunciata dal capo della polizia Gabrielli, cade l’ultimo baluardo maschile all’interno degli uffici della polizia, perché le signore dirigenti sono ormai tante: dalle volanti all’antirapina, dalla squadra mobile alla Digos, fino alle stesse questure.
Orgoglio, imbarazzo?
«Per me è un onore e un onere che un po’ mi spaventa, ho una bella responsabilità nei confronti delle colleghe essendo la prima in questo ruolo anche se ormai sono tante le donne in posti di potere nella polizia».
Cosa è cambiato?
«Fino a poco fa, per legge, le donne erano escluse dal reparto mobile, dall’agente al dirigente dovevano essere solo uomini. Poi le cose sono mutate, profondamente. Dal 2008 ci sono anche corsi per chi tutela l’ordine pubblico, per imparare a gestire le situazioni più difficili e drammatiche con psicologia, equilibrio, con proporzionalità. Il reparto mobile non infatti è solo forza, ma è intelligenza, strategia e organizzazione».
Gli agenti accetteranno una donna capo?
«Io non ricordo di aver mai avuto problemi con i colleghi maschi per il fatto di essere donna negli anni in cui ho diretto i vari uffici: da quando lavoravo in strada con gli agenti delle volanti, dalla gestione dell’ordine pubblico all’ufficio minori. Con i ragazzi del Reparto mobile poi c’è stima, rispetto. Sono 150, ci conosciamo, abbiamo lavorato insieme su altri servizi, nell’ordine pubblico per cui no, non credo proprio sarà complicato. Da noi contano il merito, le capacità. Io non mi sono mai sentita discriminata per il mio sesso, al massimo ho pensato di non essere abbastanza esperta all’inizio».
Difficile essere madre e poliziotta a tempo pieno?
«Sono come tante donne che ogni giorno si trovano a dover far quadrare i conti, le responsabilità familiari con un lavoro intenso e coinvolgente che richiede passione e orari elastici. Io non ho mai avuto problemi, ho lavorato alle volanti fino al settimo mese di gravidanza. E comunque a casa ci sono abbastanza, pure troppo».
A casa protestano?
«Direi proprio di no, sicuramente non per la mia assenza, i miei due figli, uno appena laureato in fisica l’altra liceale, mi considerano troppo ansiosa e ansiogena nei loro confronti».
Come si descrive?
«Credo di essere una persona perbene, sono sincera e onesta, ipercritica ma soprattutto nei miei confronti, un po’ permalosa, sicuramente perfezionista ma anche una buona mediatrice. Ottimista o pessimista? Nessuna delle due, direi semplicemente realista».
Quale è stata la sua fortuna?
«Quando sono arrivata a Cagliari nel 1996 c’era a capo della Mobile una donna, Maria Rosaria Maiorino, una persona tostissima, ora prefetto a Pordenone. Il suo esempio mi ha fatto capire che non c’erano differenze con i colleghi uomini, ma possibilità, che bisognava solo impegnarsi fino in fondo ogni giorno per farsi valere».
Cosa non dimentica?
«Le tante storie di abusi sui bambini che mi hanno fatto piangere, di rabbia, quando dirigevo l’ufficio minori.
Bambini italiani, stranieri segnati dalla vita. Come quelli arrivati stanchi, affamati, provati dal viaggio, il giorno in cui, in poche ore a Cagliari sbarcarono 1300 migranti. I loro sguardi non li posso dimenticare».