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 2018  luglio 29 Domenica calendario

Il segreto del Sole che fece scoprire l’elio

Nonostante la sua giovinezza fosse stata segnata da un incidente alle gambe, che gli impedì per sempre di camminare agevolmente e ne rallentò gli studi, Pierre Jules César Janssen (1824-1907) passò gran parte della propria vita a viaggiare. Nato a Parigi da una famiglia colta – suo padre Antoine César era un famoso clarinettista di origine belga, la madre Pauline era figlia del celebre architetto Paul-Guillaume Le Moyne – dopo gli studi di matematica e fisica si dedicò all’insegnamento, prima al Lycée Charlemagne, e poi all’École Spéciale d’Architecture, dove fu professore di Fisica dal 1865 al 1871. Fu in questi anni che iniziò a spostarsi da una parte all’altra del mondo, partecipando a numerose spedizioni scientifiche di ricerca e osservazione.
Nel 1857 andò in Perù per determinare l’equatore magnetico della Terra, e tra il 1861 e il 1864 trascorse lunghi periodi in Italia e in Svizzera per studiare la contaminazione degli spettri astronomici da parte dell’atmosfera terrestre. Nel 1867 condusse una serie di esperimenti di ottica e rilevazioni magnetiche alle isole Azzorre. Osservò quindi entrambi i transiti di Venere sul disco solare che ebbero luogo durante la sua vita: prima in Giappone, nel 1874, e poi a Orano, in Algeria, nel 1882. A partire dal 1888, malgrado l’età avanzata e l’infermità alle gambe, salì per tre volte sulla cima del Monte Bianco, dove installò un piccolo telescopio di 30 centimetri che rimase a qualche decina di metri dalla vetta per 15 anni.
Attratto dai lavori di Kirchhoff e Bunsen sulla spettrografia, Janssen si specializzò nello studio delle spettro di emissione di una sorgente luminosa, cioè dell’intensità della luce in funzione della sua lunghezza d’onda o frequenza. E fu tra i primi a impiegare lo spettroscopio a prisma in astronomia, durante una serie di spedizioni per l’osservazione delle eclissi totali di Sole: prima a Trani, in Puglia (1867), poi a Guntur, in India (1868), e ancora ad Algeri (1870), nel Siam (1875), alle isole Caroline, in Micronesia (1883), e ad Alcossebre, in Spagna (1905).
La sua più celebre spedizione fu nel 1868, quando il Bureau des longitudes inviò Janssen sulla costa orientale dell’Andhra Pradesh, in India. Qui, il 18 agosto, notò una linea di colore giallo brillante nello spettro della cromosfera solare. La riga corrispondeva a una lunghezza d’onda di 587,94 nanometri (miliardesimi di metro): fu la prima osservazione di questa particolare linea spettrale, corrispondente a un elemento mai osservato prima. Le prime reazioni alla scoperta non furono incoraggianti: nessun elemento era mai stato individuato nello spazio prima di essere trovato sulla Terra, e furono in molti a pensare a un errore del fisico francese. Il 20 ottobre dello stesso anno, tuttavia, l’astronomo britannico Norman Lockyer (1836-1920) osservò la medesima linea, e si convinse che non corrispondeva ad alcuna sostanza allora conosciuta: doveva trattarsi della «firma» di un nuovo elemento. Più tardi, insieme al chimico inglese Edward Frankland (1825-1899), battezzò il nuovo elemento helium, dal nome greco del Sole.
Molti anni dopo, l’elio fu riscontrato anche sul nostro pianeta: nei gas occlusi in alcuni minerali (nell’uraninite, dal chimico statunitense William F. Hillebrand, nel 1891; e nella cleveite, dal chimico scozzese William Ramsay, nel 1895), e più tardi fu anche isolato nell’aria, sebbene in una percentuale molto bassa. In seguito si scoprì che è piuttosto diffuso sulla Terra: come prodotto di decadimento di elementi radioattivi, in alcuni tipi di sabbie, nei minerali di torio, nei gas di alcune sorgenti di acque minerali, nei soffioni boraciferi e in quantità maggiore nei gas naturali. Dopo l’idrogeno, è l’elemento più abbondante nell’universo.
Gas inodore e incolore, chimicamente inerte – nella tavola periodica degli elementi, fa parte del gruppo dei «gas nobili» —, l’elio è facilmente ottenibile allo stato puro grazie alla sua «inerzia chimica», cioè alla sua resistenza a legarsi con altri elementi. È inoltre il gas più leggero che si conosca, e per questo motivo trova impiego nei palloni sonda, in sostituzione dell’idrogeno, rispetto al quale ha il grande vantaggio di non essere infiammabile. Data la sua scarsa solubilità nel sangue, è anche utilizzato, in miscela con l’ossigeno, per la respirazione in condizioni di pressione superiore a quella atmosferica (per immersioni a grandi profondità, per esempio), così da evitare pericoli di embolia, e per il trattamento di varie affezioni dell’apparato respiratorio. Ha poi notevole importanza, in fisica, nelle ricerche sullo stato della materia alle bassissime temperature (fonde a una temperatura molto vicina allo zero assoluto, e solidifica a pressioni superiori a quella ambiente), nella radioattività (le particelle sono nuclei di elio) e nelle ricerche sulle reazioni nucleari di fusione. Da reazioni di questo genere, in cui l’idrogeno dà luogo a elio, si genera l’energia nel Sole e in altre stelle, e fu proprio per questo che, studiando la corona solare visibile soltanto durante un’eclisse totale, Janssen «osservò» l’elio per la prima volta 150 anni fa.

Il grande risultato ottenuto valse a Janssen la nomina a cavaliere della Legion d’Onore, e quella nell’India britannica del 1868 rimase senza dubbio la sua spedizione più famosa. Non fu però la più avventurosa. Due anni dopo, infatti, egli si trovò bloccato a Parigi durante l’assedio della città da parte delle forze prussiane: determinato a raggiungere l’Algeria per osservare l’eclisse totale di Sole, il 2 dicembre 1870 Janssen riuscì a decollare dalla Gare d’Orléans con un pallone aerostatico (battezzato «Volta») e a superare le linee nemiche – proprio come fece anche Léon Gambetta (1838-1882), il politico e riformatore francese che abbandonò Parigi assediata a bordo di un aerostato per raggiungere alcuni ministri e deputati preventivamente inviati a Tours, dove aggiunse alla carica di ministro degli Interni anche quella di ministro della Guerra. La fortuna, tuttavia, premiò solo uno dei due audaci trasvolatori: giunto a destinazione, infatti, Janssen non riuscì a osservare l’eclisse solare a causa del cielo nuvoloso. Si trattò, in ogni caso, dell’unica missione scientifica mai effettuata a bordo di un pallone aerostatico.
Nominato membro dell’Académie des Sciences e direttore del Bureau des longitudes, nel 1876 Janssen fu insignito della medaglia Rumford dalla Royal Society di Londra, e avviò il progetto per la realizzazione di un osservatorio di astronomia fisica a Parigi. Ottenuti i fondi necessari (oltre un milione di franchi dell’epoca) iniziò la trasformazione del castello di Meudon, che ancora oggi resta uno dei laboratori di riferimento per gli studi sul Sole.