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 2018  luglio 29 Domenica calendario

La lunga galoppata di bilanci e azioni: così i 14 anni di Marchionne a Fca

Cosa hanno significato i 14 anni dell’«era Marchionne» per Fiat, ora Fca-Fiat Chrysler Automobiles, per l’industria, azionisti e occupati di uno dei (pochi) big player privati della manifattura del nostro Paese? 
Il gruppo, nato a Torino e diventato globale, nel 2003 navigava in condizioni critiche tali da alimentare scenari anche di chiusura o nazionalizzazione. Da allora, con l’arrivo alla guida il primo giugno 2004 di Sergio Marchionne, a oggi il fatturato auto è aumentato del 408,3%; la galassia che faceva capo alla finanziaria degli Agnelli Ifi, ora Exor, perdeva ogni giorno 356 mila euro e ora fa utili per 3,8 milioni sempre al giorno; il valore dei titoli Fca è aumentato dell’867,4%; la redditività industriale è passata da negativa per lo 0,9% a positiva per il 5,9%; il capitale netto era pari al 15,3% dei debiti finanziari, oggi li supera collocandosi al 116,8%; i dipendenti nel mondo sono aumentati da 161 a 236 mila restando in Italia pressoché stabili. 
Se è un fatto riconosciuto da tutti che la grande operazione di Marchionne è stata la fusione di due gruppi dell’automobile, l’italiana Fiat e l’americana Chrysler, che ha rappresentato un doppio salvataggio e rilancio, la progressione dei dati del gruppo, elaborati da R&S Mediobanca sulla base dei bilanci, costituiscono un film inedito su quale sia stato il contributo complessivo dell’era Marchionne e una fotografia chiara su quale sia la base di partenza della gestione di Mike Manley, successore del top manager scomparso il 25 luglio.
Nei conti trimestrali e al 30 giugno 2018 presentati da Manley è stato confermato il raggiungimento di un obiettivo caro a Marchionne: la posizione finanziaria netta positiva. Ebbene dietro a quel dato c’è una sequenza di cifre molto significativa: da un lato i debiti finanziari sono diminuiti fra il 2014 e il 2017 da 33,7 miliardi a 18 e poi, nei successivi sei mesi, sono ulteriormente calati a 16,3 miliardi; dall’altro lato negli stessi anni il capitale netto è aumentato grazie soprattutto a utili realizzati e non distribuiti per oltre 7 miliardi. 
Dell’«era Marchionne» il fatto che ovviamente colpisce di più è la fusione Fiat-Chrysler, nel 2011 con consolidamento totale nel 2012. Un traguardo che non è riuscito spesso (basta pensare a Daimler-Chrysler o Gm-Opel) e che trova radice nella capacità del top manager di costruire l’integrazione fra le culture industriali delle due aziende. Ha segnato la svolta: dall’unione al 2017 i ricavi di Fca sono aumentati del 45% e di Fca Italy dell’81%. Una svolta che per la galassia Agnelli ha significato anche una concentrazione nell’auto: se nel 2003 l’auto (compresa Ferrari) fatturava 21,2 miliardi, pari al 40,2% dei ricavi Exor, con l’arrivo di Marchionne e la fusione Oltreoceano il «peso» è aumentato a 107,2 miliardi e al 74,7% del giro d’affari. Il contributo agli utili lordi sale all’80%. Ed Exor nei top mondiali dell’automotive per ricavi passa, fra il 2003 e il 2017, dal nono al quarto posto.
Quando Marchionne è arrivato alla guida di Fiat la redditività industriale, il rapporto fra margine operativo netto e fatturato, era negativa. Nel periodo fra l’insediamento del top manager e la fusione era già passata a positiva per il 3,1%. Nel 2017 sfiora il 6%. Aumenta in modo consistente anche la produttività, che R&S calcola guardando alla percentuale di valore aggiunto assorbito dal costo del lavoro (quanto più è bassa meglio è): si passa dal 107% del 2003 al 66,7% del 2017. Prima della fusione era a quota 81,1%. Nell’era Marchionne si assiste dunque a un balzo dell’efficienza industriale, punto debole in precedenza di Fiat.
Infine, l’occupazione. Qui una corrente omogenea dei dati non è possibile perché dal 2014 nei bilanci non viene più indicata la suddivisione Italia-estero. 
Dal 1995 al 2004 vengono realizzati i grandi tagli: i dipendenti passano da 237 mila, di cui 150 mila in Italia, a rispettivamente 161 mila e 71 mila. Dal 2010 al 2013 c’è un balzo per la fusione da 137 mila a 225 mila. Nel nostro Paese in quel periodo i dipendenti passano da 63,2 a 62,5 mila. Per capire se e come è cambiata da noi la situazione occupazionale Fca bisogna poi guardare a Fca Italy, che comprende però solo i 4 stabilimenti auto (senza più Magneti Marelli, Comau o Teksid): fra il 2013 e il 2017 resta stabile intorno ai 32-33 mila dipendenti, le uscite superano le assunzioni di 1.800 unità. Considerate tutte le cifre riportate è legittimo chiedersi quanti sarebbero stati oggi in Italia gli occupati nell’auto «senza» Marchionne.