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 2018  luglio 28 Sabato calendario

Mezzo secolo di spartizioni politiche, ma prima il nemico era rispettato

Per ora si son presi tutto, la Lega ha il suo presidente e i Cinque Stelle hanno indicato il loro amministratore delegato, eppure saranno le nomine dei direttori di rete e dei Tg a rispondere all’enigma: il governo giallo-verde farà asso pigliatutto o lascerà sopravvivere quel pluralismo “lottizzatorio” che in Rai non è mai venuto meno? La storia dell’azienda, con i suoi personaggi e i variopinti aneddoti, ha sempre avuto una peculiarità unica al mondo: alla Rai i tanti governanti di turno (Dc, Psi, Ds, Forza Italia, An) hanno puntualmente fatto abbuffata di direzioni, ma lasciando sempre uno spazio alle minoranze: una certa dose di pluralismo paradossalmente è sempre stata salvata dalla lottizzazione. Sarà così anche stavolta o i diarchi Di Maio e Salvini per la prima volta occuperanno tutto lo spazio occupabile?
Ci sono tante storie dimenticate che raccontano la peculiarità Rai e una di queste riguarda proprio il “papà” dei Cinque Stelle. Era il 1986 e con una bella dose di coraggio Beppe Grillo fu protagonista di uno sketch eversivo. Durante un “Fantastico”, prima serata su Rai1, disse: «In Cina... i socialisti in delegazione, mangiavano... A un certo momento hanno chiesto a Craxi: “Ma senti un po’, qua ce n’è un miliardo e son tutti socialisti? Ma se son tutti socialisti, a chi rubano?». Craxi, che era presidente del Consiglio, chiese e ottenne il siluramento del comico. Ma due anni dopo, anche se nessuno lo ricorda mai, Grillo tornò in prima serata: perché a Palazzo Chigi erano tornati i nemici più acerrimi dei socialisti, i democristiani di sinistra, che consentirono a Grillo di fare i suoi numeri al Festival di Sanremo. 
E persino nella ferrea Rai Anni Sessanta di Ettore Bernabei, poteva capitare che il leader socialista Pietro Nenni confidasse a Fanfani: «Mi piacerebbe se Enzo Biagi venisse in Rai…». Biagi, un giornalista a tutto tondo: Bernabei lo fece direttore del telegiornale in una Rai perbenista. E fu il rigido Bernabei che un bel giorno disse ai dirigenti: «Girate per i teatri di cabaret e trovatemi il comico più bravo e più irriverente». Gli fu indicato il funambolico Dario Fo: assunto. Era il 1962: mancavano 27 anni alla caduta del Muro di Berlino. E proprio due anni prima del 1989 persino il Pci, da sempre all’opposizione, ottenne le direzione di RaiTre e del Tg3. Brillante e duratura lottizzazione firmata Walter Veltroni. Da allora, con governi di tutti i colori, il Tg e la Rete Tre sono rimaste un’isola della sinistra, grazie a una striscia di programmi e a un telegiornale che hanno conquistato un pubblico e lasciato un segno. Neppure il sistema maggioritario ha portato a uno spoil system integrale: nel 1996 l’Ulivo vince le elezioni ma al Tg2 il direttore è designato dal centrodestra: è Clemente Mimun. Nel 2008 Berlusconi rivince, ma al Tg3 va Bianca Berlinguer. Nel 2015-2016 Matteo Renzi è il primo che prova a prendersi tutto, l’operazione riesce a metà: gli anticorpi pluralisti della Rai non consentono di portare a termine il piano.