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 2018  luglio 28 Sabato calendario

Il fascino del manifesto cinematografico

L’incanto del cinema cominciava davanti alla sala: i manifesti, le immagini dei divi, azioni, paesaggi, disegnati per richiamare il pubblico. Del resto, cinema e pubblicità sono entrambi figli del mondo di fine 800. I manifesti dei primi decenni del XX secolo sono immersi nel mondo dell’Art Nouveau, e poi delle avanguardie, specie nella Germania di Weimar e in Unione Sovietica. Dagli Stati Uniti alla Polonia, il manifesto cinematografico ha raggiunto livelli spesso altissimi. Un fascino, inutile negarlo, che scema quando ai disegni si sostituiranno sempre più le fotografie, anche se fino agli anni 70 sono tanti gli esempi memorabili, con grafiche stilizzate o rétro: da Barry Lyndon a Chinatown, dal Cacciatore all’indimenticabile Manhattan.
Se è vero, come scrive Gian Piero Brunetta, che «gli archetipi di questo sistema sono le bibliae pauperum medievali o i grandi affreschi di vite dei santi», e i cartelloni dei cantastorie e dei contastorie, il crogiolo è comunque quello della modernità.Come raccontava un grande cartellonista italiano, c’era una gran differenza tra “illustrare” i film prestigiosi, da sale di prima visione, che dovevano catturare subito l’attenzione del passante metropolitano, e quelli della provincia e delle borgate, destinati a piazze in cui gli abitanti, magari analfabeti, si fermavano a commentare.
I manifesti erano di dimensioni variabili, da 1 foglio (70x100 cm) al colossale 24 fogli; le locandine venivano esibite in teche apposite, moderne edicole votive; le fotobuste, eredi delle lobby card teatrali, erano invece immagini di accompagnamento ulteriore, spesso oltre la soglia del cinema, prima dell’ingresso nella sala buia. In Italia la stagione leggendaria va dagli anni 30 ai 60. Nel Paese pre boom i cartelloni sono un invito al sogno, a volte pericoloso: è mentre attacca l’affiche di Gilda che il povero Lamberto Maggiorani viene derubato della bicicletta nel film di De Sica. All’epoca i nomi degli autori contavano poco, ma oggi molti di loro sono assai noti.
Anselmo Ballester, cresciuto alla scuola di Enrico Guazzoni cartellonista e regista, con Alfredo Capitani e Luigi Martinati fondò la società BCM, Silvano Campeggi (oggi 95enne) è stato autore dei manifesti di classici hollywoodiani (da Casablanca aWest Side Story). Angelo Cesselon era grande disegnatore di dive. Tra gli altri nomi di rilievo, Ercole Brini, Averardo Ciriello, Giuliano Nistri, Manfredo Acerbo, Sandro Symeoni (i grandi titoli degli anni 60 e 70 come La dolce vita, Accattone, Profondo rosso), Rinaldo Geleng (l’indimenticabile ritratto collettivo di Amarcord), Renato Casaro ( Per un pugno di dollari e molto altro).
Oggi, quella è in gran parte una stagione finita. Per i blockbuster, si assiste a un trionfo del logo, e nel cinema italiano domina una certa ripetitività, con foto in primo piano degli attori, poche eccezioni (l’azzardo rosanero di Gomorra), e qualche tentativo di coinvolgere disegnatori e pittori (Mattotti, Mara Cerri, Zerocalcare, Gipi, ma anche Giosetta Fioroni) La passione per i cartellonisti italiani da tempo travalica i confini del nostro Paese: già 15 anni fa Dave Kehr, critico del New York Times e poi curatore della sezione cinema del MoMa, aveva curato il volume Italian Film Posters, pubblicato proprio dal MoMa. Oggi gli esemplari più pregiati valgono migliaia di euro alle aste o su Internet, e istituzioni pubbliche come il Museo del cinema di Torino e la Cineteca di Bologna cercano di valorizzare le loro collezioni.
Ci sono musei dedicati, come il “Fermo Immagine” di Milano e una sezione del Museo “Guttuso” di Bagheria, basata sulla collezione Lo Medico (cui è dedicato anche il volume di Giuseppe Tornatore, Il collezionista di baci, Mondadori 2014). È uscito da pochissimo l’ampio e lussuoso Pittori di cinema(Lazy Dog Press) curato da Maurizio Baroni, che raccoglie le opere di 29 cartellonisti.
Sfogliandolo, si ha l’impressione che le opere più suggestive non siano forse nemmeno i manifesti finiti, quanto i bozzetti, che spesso purtroppo non venivano nemmeno conservati.Da tempo l’attenzione si è spostata anche sui film di genere, titoli magari dimenticati le cui immagini sui muri restituiscono il senso di un’epoca. Adesso, però, un libro imminente fa un passo ulteriore, anzi di lato. Poster 70 (Quinlan edizioni, prefazione di Goffredo Fofi), in uscita a settembre, è una raccolta di foto di manifesti erotici e pornografici. Non riproduzioni, ma immagini delle affiches sui muri, che la fotografa Marialba Russo ha catturato tra anni 70 e 80, a volte in bianco e nero: film come A bocca piena o Malabimba, Le goditrici o La puñeta.
I manifesti sono a volte uno sull’altro, strappati; si intravede qualche brandello di muro. Al sogno subentra la sensazione di uno squallore diffuso, che ricorda perversamente l’angoscioso fascino dei quadri di Mimmo Rotella, i suoi décollages con manifesti scrostati di Casablanca, della Dolce vita o di mille Marilyn.