la Repubblica, 28 luglio 2018
La passione di Luther King per il jazz
Il jazz è musica “trionfante”, concentra in sé le sofferenze, e ci permette di superare le difficoltà della vita. È un dono di Dio agli uomini; è un dono della cultura afroamericana a tutta l’umanità. Così parlò Martin Luther King Jr., il leader del movimento per i diritti civili assassinato a Memphis cinquant’anni fa. Che il reverendo King avesse un rapporto speciale con la musica, non può stupirci. Figlio e nipote di pastori protestanti, lui stesso un formidabile predicatore religioso, si era formato a una tradizione oratoria intrisa di musicalità afroamericana. I suoi grandi discorsi politici, come “I Have A Dream”, ancora oggi fanno venire la pelle d’oca dall’emozione: oltre alla nobiltà degli ideali di giustizia e fratellanza, oltre alla potenza della sua denuncia contro il razzismo, quei discorsi riflettono l’arte dei sermoni domenicali che è intrisa di musicalità. King parlava modulando la voce come un grande tenore, centellinava le pause e i silenzi come un attore, esortava l’approvazione del pubblico come s’invoca il coro in una tragedia greca. Ma nella mole dei suoi discorsi e dei suoi scritti più noti, una “teoria della musica” non si trovava.Fece un’eccezione, una sola, molto importante. Per parlare del jazz. Fu nel corso di una visita internazionale ad alta visibilità, nell’epicentro della guerra fredda, sul confine più teso tra Est e Ovest. Nel settembre del 1964 il sindaco socialdemocratico di Berlino Ovest, Willy Brandt, invita il pastore King nella sua città.In quell’occasione il profeta della nonviolenza riesce in un exploit diplomatico: parla sia nella parte occidentale della città, sia in quella orientale che fa parte della Repubblica Democratica Tedesca (comunista). Interviene a cerimonie religiose e tiene conferenze politiche.Commemora il presidente John Kennedy ucciso l’anno precedente. E infine fa il discorso di apertura del Jazz Festival di Berlino. Gli bastano pochi minuti a tracciare la sua visione di quella musica. È un discorso intenso che unisce fede cristiana, impegno politico, e una visione dell’arte come una specie di terapia contro la sofferenza umana generata dalle ingiustizie.«Dio – dice King – ha estratto molte cose dall’oppressione. Ha dotato le sue creature della capacità di creare. E da questa capacità sono sgorgate le dolci canzoni del dolore e della gioia, che hanno consentito agli esseri umani di adattarsi a tante situazioni diverse. Il jazz parla per la vita. Il blues racconta la storia delle difficoltà nel vivere. Le più dure realtà della vita sono state messe in musica, e ne sono state trasformate con una nuova speranza o un senso di trionfo.Questa è una musica trionfante.Il jazz moderno ha continuato questa tradizione, cantando le canzoni di un’esistenza urbana più complicata. Quando la vita stessa non offre più né ordine né significato, il musicista crea un ordine e un senso dai suoni della terra che scorrono dentro il suo strumento. Non stupisce che tanta parte della ricerca di un’identità tra i neri americani sia stata promossa dai musicisti jazz.Molto prima che gli intellettuali dei nostri tempi scrivessero sull’identità razziale come problema in un mondo multietnico, i musicisti tornavano alle loro radici per affermare ciò che si agitava dentro le loro anime. Tanta energia del nostro movimento per la libertà, è venuta dalla musica. Ci ha rafforzati coi suoi dolci ritmi quando il coraggio ci veniva a mancare. Ci ha calmati con le sue ricche armonie quando avevamo perso fiducia. E adesso il jazz viene esportato nel mondo.Perché nella lotta specifica del nero americano c’è qualcosa in comune con la lotta universale dell’umanità contemporanea.Ciascuno ha il suo blues.Ciascuno anela a un significato.Ciascuno ha bisogno di amare e di essere amato. Ciascuno ha bisogno di battere le mani e di essere felice. Ciascuno ha bisogno di fede. Nella musica, specialmente in questa vasta categoria chiamata jazz, c’è un primo passo verso questi traguardi».In quel denso intervento è rievocata la storia di una musica afroamericana che ha accompagnato le sorti di un popolo: a cominciare dai canti gospel e spiritual che ritmavano il lavoro degli schiavi nelle piantagioni di cotone, ma erano anche consolazione e strumento di solidarietà, evangelizzazione e richiamo alla liberazione dalle catene in una Terra promessa.Tante volte nelle manifestazioni non violente assediate dal Ku Klux Klan, da una polizia razzista, dai cani ringhiosi addestrati a sbranarli, King e i suoi compagni di militanza cantavano per farsi coraggio.Cantavano e ritmavano nelle notti passate in cella agli arresti.Cantavano nelle messe dove la comunità faceva quadrato per darsi la forza di andare avanti.Sapeva di cosa parlava, King, quando parlava di musica.