la Repubblica, 28 luglio 2018
L’amaca
La migliore decisione della mia vita «è stata non usare i social media», dice l’allenatore del Liverpool Jurgen Klopp. Si riferisce allo stato di prostrazione del suo portiere Karius, linciato sui social per un grave errore di gioco; e alle bordate razziste che hanno indotto il calciatore turco-tedesco Özil a lasciare la Nazionale. La vulnerabilità di ragazzi dai venti ai trent’anni, per quanto ricchi e famosi, a quel veleno, ha indotto Klopp – non un intellettuale: un uomo di sport – a individuare, come unico antidoto, l’assenza. Non so se esistano studi o statistiche sul fenomeno della sconnessione (dai social, che di Internet sono solo uno specifico e ben individuabile pezzo). Se cioè, a parte mister Klopp, qualche scrittore americano, qualche monaco tibetano e me, esista anche una renitenza di massa a quell’uso tanto ingordo quanto subalterno della parola altrui, che diventa l’oscillante metro con il quale misurare la propria statura umana. Forse è meglio non saperlo, quanti nel mondo abbiamo scientemente rinunciato a quella cosa, anche perché contarsi è diventato a sua volta un modo per compromettersi con la catalogazione algoritmica dei viventi, e dunque perfino il numero diventa un dato da tacere. È in ogni modo, quella scelta, un lusso alla portata di chiunque, perché, esattamente come la connessione, anche la sconnessione è gratis. Quando i poteri twittatoriali metteranno una tassa sull’assenza, e diventeremo fuorilegge, allora ci daremo alla macchia.