Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  luglio 27 Venerdì calendario

Zuckerberg, il mito incrinato dalla marea delle fake news. E per i ragazzini Facebook è da vecchi

«Forse è presto per parlare della fine di Facebook, ma di sicuro possiamo parlare di inizio della fine di Facebook»: non aveva dubbi il 15 giugno 2011 l’analista di Forbes Tim Worstall nel prevedere che il social media inventato ad Harvard dall’enfant prodige Mark Zuckerberg fosse al capolinea. E ieri, quando in Borsa Facebook ha perso oltre 100 miliardi di euro (120 miliardi di dollari), una delle giornate peggiori per un singolo titolo nella storia di Wall Street, il suo cupo presagio sembrava avverarsi. Ma, attenzione, proprio la grande volatilità dell’economia digitale, con così pochi anni di storia alle spalle, deve indurci alla prudenza. Dal 2011 Facebook ha arruolato centinaia di milioni di nuovi consumatori, raccolto miliardi di pubblicità, creato una comunità di un miliardo e mezzo di persone. E appena un anno dopo, nel 2012, Libby Leffler, manager di Facebook, lanciava fiduciosa al summit di Davos il manifesto per il progresso dell’umanità: «Facebook si occupa di condividere e connettere, con amici, famiglia, comunità, quel che vi sta a cuore… noi daremo al volontariato una piattaforma globale… la nostra missione è rendere il mondo aperto e connesso risolvendo problemi, grandi o piccoli...».
Gli scandali
Gli investitori han creduto al sogno, non perché persuasi da questi toni alla Walt Disney, ma perché sotto i like della piattaforma si arruolavano sempre più consumatori. Poi è venuto lo scandalo di Cambridge Analytica, compagnia inglese che, con commesse russe in odore di intelligence del Cremlino e algoritmi sospetti, ha sifonato le identità di ingenui consumatori, spacciando fake news per inquinare la politica, in America e altri Paesi. 
Le fake news
La reazione di Zuckerberg è stata debole, non al livello della sfida: «Solo l’1% dei nostri contenuti è fake» ha ammesso il fondatore, non comprendendo come un pizzico di menzogna avveleni una montagna di verità. Facebook s’è trovata a cambiare algoritmi, a dover difendersi dalle accuse di cancellare riproduzioni della Crocefissioni di Antonello da Messina, «immagini di nudo e sevizie», mentre le canaglie che negano l’Olocausto continuano imperterrite il loro proselitismo nazista e, con una gaffe, Zuckerberg cade nell’equivoco: «Dobbiamo difendere la libertà d’espressione di tutti». La giornata di ieri ha ricordato agli analisti veterani il 2 aprile 1993, detto «Venerdì Marlboro», quando l’azienda delle popolari sigarette annunciò la riduzione del costo dei pacchetti – per contrastare i marchi minori – e il titolo perse il 26% in poche ore. La concorrenza, per Facebook, non sono sigarette d’accatto, il titolo cede perché le previsioni di crescita annunciate mercoledì scorso, sono considerate il massimo possibile e gli investitori temono che i tempi d’oro siano finiti. Dave Wehner, capo finanziario di Fb, lamenta le nuove regole sulla privacy europee Gdpr, ma in verità i nuovi format per la pubblicità, su Facebook, come sulla piattaforma più agile di Instagram, non rastrellano profitti come i vecchi formati. Meno pubblicità, la cattiva luce di una Facebook che non vuol più «salvare il mondo» ma semina zizzania per conto di poteri oscuri, si uniscono a un sentimento di noia tra i consumatori.
I ragazzi
Per i teenager, Fb è da evitare, «papà e la mamma ti chiedono l’amicizia per controllare che fai la sera», va di moda invece Snapchat, per condividere brevi testi e immagini. Secondo un sondaggio della banca d’affari Piper Jaffray, oggi Instagram è la piattaforma prediletta dal 45% degli adolescenti, seguita, con il 26%, da Instragram, con Facebook e Twitter appannaggio dei «vecchi». Pubblicità scettica, ragazzi distratti, accuse di fake news: il tonfo di Wall Street ha queste radici principali, ma il ricordo del «Venerdì Marlboro» ha un’ombra ancor più sinistra. Per anni la sigaretta era icona di fascino, tra le labbra di un attore come Humphrey Bogart simbolo di virilità, con la star Marlene Dietrich di seducente femminilità, con il filosofo Sartre di intelligenza. Poi Big Tobacco divenne brand da demonizzare, e da allora l’industria lotta per recuperare immagine.La multa inflitta dalla Commissaria europea antitrust Vestager a Google, 4,34 miliardi di euro sul sistema Android, è stata contestata dall’amministratore delegato Sundar Pichai, che annuncia appello, ma il titolo non ha sofferto in modo clamoroso. Eppure ormai tutti i social media hanno perso l’aura da Cavalieri Digitali Senza Macchia e Senza Paura. Sono compagnie come le altre. Le conseguenze sociali, politiche e culturali della rivoluzione digitale non si risolvono con un raffinato algoritmo per gli spot e pochi, tra cui certo non Zuckerberg, avevano previsto quanto in fretta il lato oscuro della Rete avrebbe intrappolato i sogni ingenui dell’utopia «Mondo Del Bene Digitale», fermando la corsa degli investitori e attraendo già oltre le notizie false, il «deep fake», temibile tecnica di creare online una realtà posticcia, disegnata a tavolino.