il Giornale, 27 luglio 2018
La follia dell’architetto: finire la Sagrada Familia
Eternamente in divenire. E in costruzione con le gru che si alternano a duecento metri d’altezza sopra le teste dei barcellonesi. È da qui che il Temple Expiatori de la Sagrada Família acquista il suo fascino, nell’essere incompiuto. È un’opera unica, maestosa, magnetica e misteriosa. Una grande basilica, consacrata «minore» da Benedetto XVI, che dal 1882 si sviluppa lentamente verso il cielo, con le tempistiche del «secula seculorum» in una delle città più dinamiche al mondo.
Senza fretta. Anche se nell’ultimo decennio i lavori si sono intensificati, lei cresce ogni giorno senza fondi statali, alimentata dalle sole donazioni dei fedeli e dei biglietti di quei tre e passa milioni di turisti che ogni anno entrano nel suo ventre e scalano le torri antiche. La basilica, più maestosa di una cattedrale, è un miracolo di pietra che, con lo sviluppo del progetto iniziale di Antoni Gaudí, ha assunto forme futuribili, l’esatto opposto della più modeste dimensioni di Francisco de Paula del Villar, l’architetto incaricato dal libraio di Barcellona Josep Maria Bocabella che poi lo cacciò malamente. «Prima di posare una nuova pietra, dobbiamo comprendere l’idea originale disegnata nel progetto di Gaudí e aggiornarla con le nuove tecniche», spiega in esclusiva a Il Giornale Jordi Faulí i Oller (59 anni), l’architetto, direttore dei lavori del tempio. «Gaudí ci ha lascito centinaia di disegni di un’opera mastodontica che comprende anche soluzioni inconcepibili per la sua epoca, realizzabili soltanto ora. Ci ha lasciato problemi inauditi e soluzioni inedite. Anche quando sarà terminata, il lavoro di manutenzione non finirà mai». L’unicità della Sagrada è anche nel sorgere nel quartiere popolare dell’Eixample, che nel 1882 era campagna. Dodici affusolate torri degli Apostoli che svettano tra condomini, garage e panifici, come se il Duomo di Milano sorgesse al Giambellino. Dal 2016, il patronato, di cittadini ed ecclesiastici, proprietario della basilica, guarda al 2026 come probabile fine dei lavori. Sarà anche il centenario della morte di Gaudí, quasi un secolo e mezzo dopo la posa della prima pietra. «Negli ultimi dodici anni abbiamo completato la facciata nuova, le torri apostoliche e iniziato a costruire la torre centrale dedicata a Gesù (che raggiungerà i 172,5 metri, ndr), la torre della Madonna e degli Evangelisti che sono le opere più impegnative», spiega l’architetto Faulí che sa che al termine dei lavori, il cantiere resterà in parte aperto. «Io dirigo tra tecnici e operai 150 persone, distribuite qui e nel cantiere a 80 chilometri da Barcellona, dove le grandi parti della basilica sono realizzate. Usiamo anche stampanti in 3D per alcuni componenti, ma la maggior parte è manualità». Un’opera che è sotto gli occhi del mondo. «Avverto una forte responsabilità da parte non solo di Barcellona, ma di tutti coloro nel mondo che l’amano e che la vogliono vedere completata», continua Jordi Faulí con un sorriso che ci libera dal dovere di chiedergli se nel 2026 l’opera dell’Arquitecte de Dios sarà finita. «La basilica è qualcosa di straordinario, come straordinarie sono le sue forme architettoniche e i suoi tempi di realizzazione. Pensate che Gaudí avrebbe voluto ottanta campane azionate ad acqua nella facciata della Natività. E dovremo pensare a come accontentarlo».
La Sagrada è un’opera architettonica di Art déco, Neogotico e Liberty catalano non solo da ammirare, ma da leggere. È impreziosita da colonne, navate, volte, portali, portici, porte, guglie, sculture, statue e torri che richiedono tempo e grande abilità, perché su ognuna di queste superfici sono scolpiti centinaia di versi e parabole della Bibbia e dei Vangeli. Tutto inciso sulla sua bianchissima arenaria, un tempo scavata a Montjuic, ora proveniente da Francia e Inghilterra, e inserita nella Sagrada con una nuova tecnica. «La infilziamo con barre d’acciaio inossidabile, non solo per fortificarla, ma per saldarla alle altre parti e rispettare le normative antisismiche», accontentando anche la volontà di Gaudí di plasmare la pietra in forme impossibili e in barba a ogni legge fisica.
Perché l’ostinato architetto era un vero perfezionista, molto esigente coi suoi collaboratori, uno Steve Jobs ante litteram con lo stesso ingombrante genio. «Qualora fosse ancora in vita, mi piacerebbe osservare che faccia farebbe entrando dalla nuova facciata», ride Faulí per l’improbabile appuntamento. «E gli chiederei se abbiamo fatto come lui voleva». Gaudí, sicuramente avrebbe gradito molto gli sforzi di tutti gli architetti venuti dopo di lui, tra cui Francesc Quintana o Puig Bada. Pochi anni prima d’essere investito da un tram disse: «Le torri della facciata le lascio in programma affinché altre generazioni collaborino alla costruzione del tempio. Più volte nella storia delle cattedrali le facciate sono di altri autori, ma anche di altri stili». Un testamento che è un preciso incarico per tutti gli architetti folli e audaci dopo di lui. E considerato che, forse, i «secula seculorum» del divenire della Sagrada sono al termine, il 2026 non è poi così distante.