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 2018  luglio 27 Venerdì calendario

Soldatini per le figlie e nacquero le Brontë

Quando in una gelida mattina del febbraio 1820 il reverendo Patrick Brontë prese possesso della canonica di Haworth – paesino dello Yorkshire vicino al confine con la Scozia – sapeva di non poter contare su una buona accoglienza da parte dei suoi futuri parrocchiani. Il suo predecessore aveva resistito solo poche domeniche, incapace di tener testa a una comunità indisciplinata ed aggressiva, e molti giuravano che il destino del nuovo curato non sarebbe stato diverso. Ma Patrick Brontë non era uomo da lasciarsi intimidire: alto, robusto, non si vergognava ad alzar le mani se lo riteneva necessario, e in tasca custodiva una pistola sempre carica. Tutto il suo universo mentale era incardinato al concetto di disciplina e non tollerava infrazioni. Lo sapevano bene la moglie e i figli (cinque femmine e un maschio) nati in appena otto anni di matrimonio, lo avrebbero appreso i suoi parrocchiani.
GLI PSEUDONIMI
Grazie a queste caratteristiche il reverendo Brontë riuscì a governare Haworth a lungo, mentre alla sua tirannica potestà si sottrassero in fretta prima la moglie e quindi i figli, passando velocemente a miglior vita. Tuttavia tre delle ragazze Brontë riuscirono a trovare le energie per progettare e scrivere romanzi considerati tra i maggiori dell’Ottocento vittoriano: Cime tempestose di Emily, Agnes Grey di Anne e Jane Eyre di Charlotte. «Contrarie a esporci personalmente – confessò più tardi proprio Charlotte – ci nascondemmo sotto gli pseudonimi di Cutter, Ellis e Acton Bell. La nostra scelta fu dettata da uno scrupolo ad assumere nomi inequivocabilmente maschili, avevamo l’impressione che alle autrici si guardasse con pregiudizio. Avevamo notato che la critica usa per condannarle l’arma della personalità, e per lodarle una lusinga che non è un vero apprezzamento».
UNA VOCAZIONE
Per Anne, Charlotte e soprattutto Emily, di cui il 30 luglio ricorre il bicentenario della nascita, l’amore per la letteratura costituiva una vocazione sin dall’infanzia. La famiglia lo comprende nell’estate del 1826 quando, rientrando da un viaggio a Leeds, il reverendo Brontë porta alcuni regali per le figlie. Che apprezzano soprattutto una scatola di soldatini dai quali Emily, Charlotte e Anne traggono ispirazione per un ciclo letterario che ne mostra le precocissime doti espressive: le bambine iniziano a inventare mondi immaginari narrati in versi e in prosa, trascorrono intere giornate a riempire centinaia di pagine. 
Settimana dopo settimana Emily impara a comporre con sistematicità, riversa nell’immaginario universo gondaliano, così ribattezzato dal nome di un’immaginaria isola che colloca nel nord del Pacifico, molte delle sue letture, dei suoi pensieri sulla natura e sul genere umano che presto trovano spazio in pagine in prosa e, subito dopo, costituiscono l’ossatura di un romanzo. Nasce così Cime tempestose, una vicenda sorretta da immaginazione e intessuta di morte, in cui un amore impossibile trionfa, travolgendo ogni ostacolo anche in termini sociali perché dominato da un desiderio rapace dell’altro nel quale molti critici hanno voluto scorgere un’ansia mistica neppure troppo celata. Il vocabolario usato da Emily per riassumere il legame che unisce Heathcliff a Catherine è semplice, a volte ripetitivo, intriso di parole apprese leggendo i testi sacri. 
LO SCHEMA
La forma ricorrente del rapporto tra i personaggi si esprime attraverso un duplice schema: l’umiliazione e la vendetta. Heathcliff e Catherine bambini condividono spesso le umiliazioni ma nel volgere degli anni coloro che li umiliarono diventano inesorabilmente gli umiliati attraverso la vendetta. Per quanto riguarda Heathcliff, poi, la vendetta che si prende verso chi si è frapposto tra lui e la donna amata (senza alcuna possibilità di conquistarla a causa del divario sociale che li divide) assume ben presto la forma di un delirio di possesso destinato a superare persino la barriera della morte, trasformandolo nell’antieroe romantico per eccellenza.
LE TRAGEDIE
Nel 1847, quando viene pubblicato, il romanzo divise i critici. «È un libro rozzo, quasi illeggibile», si dice. Un altro, invece, afferma: «Se il valore di un’opera narrativa deve basarsi soltanto sulla pura e semplice immaginazione, allora si tratta di uno dei più grandi libri scritti in inglese». Un terzo così lo giudica: «Affascinati da una strana magia, leggiamo qualcosa che pure non ci piace e ci interessiamo a uomini e donne che offendono la nostra morale forse perché dominati dalla grande forza del libro». Il periodo successivo è per le Brontë all’insegna delle tragedie familiari: il 24 settembre 1848 muore Branwell, l’unico maschio di casa, distrutto dall’alcool e dall’oppio, e subito dopo la tubercolosi si manifesta in Emily, che rifiuta ogni cura. Lo testimonia una lettera di Charlotte a un’amica: «Emily sta malissimo, non c’è più speranza. Rifiuta di farsi visitare da un medico». Il pomeriggio del 19 dicembre Emily muore appena trentenne. La memoria del suo cupissimo e sfolgorante genio sopravvive da due secoli grazie un unico romanzo nel quale ha riversato le sue inconfessate angosce private, gemma purissima di un’estetica romantica già intrisa di pessimismo decadente.