Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  luglio 26 Giovedì calendario

Una manovra finanziaria per evitare il rischio di una crisi peggiore del 2011

Come si tengono assieme le coalizioni eterogenee, come quella formata da Lega e Cinque Stelle? Di solito, con più spesa pubblica. Meglio se a debito: facendola pagare, cioè, alle generazioni future e non all’attuale. In questo modo, la convivenza fra partiti che hanno storie e obiettivi diversi diventa accettabile per i rispettivi elettori: tutti hanno l’impressione di trarne dei benefici, nessuno ne sopporta, nell’immediato, i costi.Il problema è che il debito pubblico italiano supera i 2300 miliardi, quattro terzi del prodotto interno lordo. Vale per gli Stati quel che vale per le persone: finché abbiamo pochi debiti, è relativamente facile convincere qualcuno a prestarci dei soldi. Quando siamo molto indebitati, i creditori diventano sospettosi, chiedono più garanzie, pretendono un interesse maggiore. Il ministro Tria ha fatto miracoli, nelle scorse settimane, per rassicurare in ogni modo i nostri creditori. Il governo di cui fa parte si regge però sulla collaborazione antagonistica di due leader, Salvini e Di Maio, che si disputano tutti i giorni le prime pagine. Alla crescente popolarità dell’uno, l’altro risponde annunciando nuove iniziative statali. Si capisce che Di Maio voglia lasciare il segno, nella prossima finanziaria. La vera domanda, però, è se ci arriveremo alla prossima finanziaria. Lega e Cinque Stelle pensano di giocare una partita con (o contro) l’Europa. Per ridurre il rapporto debito/Pil, la Commissione si aspetta un aggiustamento strutturale dello 0,3% del Pil per il 2018 e dello 0,6% per il 2019. L’idea è: freghiamocene, poi subiremo una procedura di infrazione. Messa così, parrebbe l’ennesima puntata dello scontro fra tonitruanti governanti italiani e grigia burocrazia europea. Il problema non sono le regole europee, spesso interpretate a vantaggio degli Stati membri. Il problema sono i nostri creditori. Entro il 15 settembre il governo deve presentare al Parlamento la nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza. In quella sede, annuncerà il livello del deficit per il 2019. Se in quell’occasione Tria desse un numero «alto» (ora è previsto lo 0,8, immaginiamo si voglia superare un valore doppio), è pressoché certa una reazione, istantanea, dello spread. Il sentiero è davvero stretto. Bankitalia prevede che il Pil crescerà nel 2019 dell’1%. La nota di aggiornamento al Def dovrebbe prenderne atto. In barba ai grigi burocrati, potrebbe rinunciare al miglioramento del saldo strutturale, ma dovrebbe cercare di ridurre comunque, anche se meno del previsto, il rapporto debito-Pil. Il governo è già impegnato a disinnescare l’aumento dell’Iva, che vale 12,5 miliardi. Fatto quello, non rimarranno quattrini da usare in altro modo.Welfare e tassazione potrebbero essere oggetto di un programma di riforma ambizioso e coerente, non c’è dubbio. Sarebbe «cambiamento» vero abbassare le aliquote e rivedere il sistema dell’assistenza. Ma il cambiamento andrebbe finanziato con tagli alle spese, ad oggi assenti dall’agenda di governo. Una riforma fatta bene avrebbe bisogno di essere studiata con attenzione e messa in atto per gradi: la può fare una maggioranza che non si sa bene quanto durerà? Sappiamo che già a maggio gli investitori esteri hanno venduto Btp per importi record. La nostra è percepita come una situazione a rischio. Immaginiamo che il governo annunci nuove spese, e pertanto un deficit elevato. O che il ministro dell’Economia sia costretto a dimettersi, per lasciare spazio a politiche più allegre. Rischiamo di trovarci in una situazione peggiore di quella del 2011: lo spread comincia a correre e la crisi si avvita rapidamente. Non la crisi di governo, la crisi del Paese.