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 2018  luglio 26 Giovedì calendario

L’onore delle armi. In una mostra a Roma gli oggetti militari raccontano il senso del potere nel Rinascimento

Troppi luoghi comuni liquidano la vicenda storica della nobiltà romana relegandola nel colorito microcosmo della corte papale: molto denaro, scarsa cultura e poco ingegno, a differenza per esempio dell’aristocrazia britannica. Come tutte le semplificazioni, è una banalità.
Prendiamo il principe Ladislao Odescalchi, nato a Roma nel 1846 e morto a nel Principato di Monaco nel 1922. Fu un cosmopolita, amico di Matilde Serao e di Gabriele d’Annunzio, fondò la cittadina di Ladispoli (dal suo nome) intorno al proprio Castello di Palo, viaggiò. Un carattere forte: da ragazzo fu esiliato dal Papa lontano da Roma, nel 1866, per aver brindato in pubblico alla fine del maggiorasco, ovvero del diritto dei primogeniti a ereditare l’intero patrimonio familiare: lui era un secondogenito. Un atto interpretato come una ribellione alle severe leggi pontificie in materia di patrimoni familiari. Si stabilì a Firenze e lì conobbe gli antiquari Giuseppe Fantappiè e Vincenzo Ciampolini. Da loro contrasse la passione per l’armeria antica. Diventò un collezionista di livello europeo, acquistò anche da Stefano Bardini, da Samuel James Whawell, dal francese Louis Bacherau. Pezzi unici, di immenso valore storico-artistico e documentaristico. Nel 1953, alla morte del principe Innocenzo, nipote di Ladislao (morto senza figli e mai sposato) la collezione contava ben duemila pezzi: Innocenzo aveva ereditato dallo zio la passione per questo tipo di collezionismo, che abbracciò non solo la produzione europea ma anche del medio e dell’estremo Oriente.
La gran parte di questo fondo unico è il pezzo forte della mostra romana Armi e potere nell’Europa e nel Rinascimento, aperta fino all’11 novembre 2018 nella doppia sede di Palazzo Venezia e di Castel Sant’Angelo, promossa e prodotta dal Polo Museale del Lazio con la collaborazione del Polo Museale dell’Emilia Romagna, a cura di Mario Scalini, studioso del settore. Nelle due sedi verranno esposti 160 pezzi tra armature intere, armi da difesa e da offesa (due concetti diversi, nell’antica sistematizzazione della guerra), armi da fuoco. E poi elmetti, corsaletti, balestre, schiniere. Strumenti, come si spiega nelle note introduttive della mostra, legati alla vita quotidiana nell’alta società rinascimentale poiché venivano usate nelle numerosissime guerre che attraversavano l’Europa ma anche durante le grandi cacce, nei tornei, nelle feste più violente. Il nucleo centrale della mostra è, appunto dedicato alla Collezione Odescalchi nel Museo Nazionale di Palazzo Venezia. Nel 1959 una Repubblica Italiana a corto di risorse economiche decise di assicurare alla mano pubblica la collezione proposta dagli eredi Odescalchi: 1.200 pezzi sui 2.000 dell’intera raccolta. Si voleva documentare un importante capitolo della lunga e complessa vicenda italiana: cioè di un Paese arrivato all’unità dopo un numero incalcolabile di piccole e grandi guerre. Gli altri pezzi vennero collocati dagli Odescalchi nel Castello di famiglia a Bracciano, dove ancora si trovano.
Come spiega il ministro per i Beni e le attività culturali Alberto Bonisoli «l’esposizione ha il pregio di rievocare un mondo, colto con grande efficacia da un maestro della nostra cinematografia come Ermanno Olmi nel suo Il mestiere delle armi, in cui l’Italia è stata a lungo teatro di guerra per le grandi monarchie nazionali e per gli Imperi d’Europa. Quel lungo periodo, iniziato con la calata delle armate francesi di Carlo VIII nel 1494 e conclusosi oltre sessant’anni dopo con la pace di Cateau-Cambrésis, ha reso il nostro Paese un luogo di produzione e sperimentazione di armamenti e tecniche militari senza eguali nel Continente». Ecco la chiave della scelta del 1959.
Il pezzo più antico in mostra, in quella sua severità che può richiamare alcune sequenze di Alexander Nevskij di Ejzenstejn, è il cosiddetto Elmo di Bolzano a Castel sant’Angelo, del 1300 circa, forse appartenente a un ordine Teutonico della fine del Duecento, uno degli esemplari del genere meglio conservati in Europa. Proprio a Castel sant’Angelo, dopo l’Unità d’Italia, confluirono molte memorie militari da tutta Italia per costituire un museo nazionale di quel tipo. E a Castel sant’Angelo svetta il corsaletto per combattere alla barriera, di provenienza Farnese, col suo monogramma di Cristo al petto. Secondo il curatore Mario Scalini «è forse il pezzo più eloquente e meglio scelto con criterio evocativo e singolarmente esplicito». A palazzo Venezia, la collezione Odescalchi è rappresentata dai suoi pezzi più pregiati, alcuni reduci da un recente restauro. Nella stessa sede, la piccola guarnitura da pompa di Cosimo I de Medici, la magnifica armatura di Augsburg del 1560, l’elmetto da campo chiuso forse per Ferdinando I d’Asburgo. Un viaggio che, c’è da scommettere, piacerà molto ai ragazzi: per una volta, addio virtualità e benvenuta realtà storica.