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 2018  luglio 26 Giovedì calendario

E per un pugno di dollari Vania comprò Wenders

La famiglia stessa è cinema. E sì, c’entrano anche quei fratelli. Si parte nel 1904, con nonno Ottorino e il fratello Gino che non si risolvono al destino già scritto di ricchi agricoltori nel Mantovano. Agli acri preferiscono i fotogrammi, alle colture la cultura: si appassionano all’incipiente settima arte, a tal punto da raggiungere quei fratelli Lumière nella Ville omonima. Da Parigi tornano con le pizze, le proiettano a Mantova: nella schiera di amici il padre di Gorni Kramer, futuro direttore d’orchestra, e un giovane fotografo che stampa le locandine e strappa i biglietti, Arnoldo Mondadori.
A Vania Protti Traxler, signora e signora di cinema, la passionaccia di Ottorino e Gino non arriva subito. Serve prima un matrimonio, con Teddy Reno: quando Ferruccio (Merk Ricordi) si fa vedere con Rita Pavone, mezz’Italia si straccia le vesti, non Vania che conserva intatti gli Chanel dell’epoca e taglia corto: “Tra noi era già finita da tre anni”. Serve, poi, un originario ambito d’interesse, la moda, una boutique a Riccione, infine, un secondo marito, Manfredi Traxler, occupato alla Rai e ugualmente insoddisfatto. Che barba che noia, e a spezzare il refrain mondainiano ci pensa papà: “Ma perché non vi date al cinema?”.
Il fidanzamento richiederebbe un anello, qui mancante: l’aveva chiesto coi rubini, ma all’ultimo la bionda e indomita Vania cambia idea. Pochi giorni prima, siamo nel 1977, in una sperduta saletta a Cannes i due vedono Il matrimonio di Maria Braun, per la regia di Rainer Werner Fassbinder: “Caro Manfredi, di quell’anello non m’importa più niente, tu mi regali questo Matrimonio”. Ebbe così inizio una grande avventura distributiva, sotto la lettera A: Academy, così – le dice il padre – “siete i primi in elenco”.
Cinque i premi Oscar portati in sala, da Mephisto (1982) a Il falsario (2008); sei i Leoni d’Oro di Venezia, da Ti ricordi di Dolly Bell?, regia di Emir Kusturica (1982), al capolavoro Faust di Aleksandr Sokurov (2011); tre le Palme d’Oro di Cannes, da Yol (1982) a Papà è in viaggio d’affari (1985), sempre di Kusturica. Non solo allori, bensì il precipitato di incontri che su carta mettono sentimenti, non detti e dolori celati. Per Paris, Texas di Wim Wenders, che vince sulla Croisette nel 1984, Vania ha un concorrente agguerrito, una proposta da perfezionare e il produttore Anatole Dauman da convincere: “Io voglio questo film”, gli dice, “e tu non sei francese”. È così, Anatole è polacco, ed è l’unico superstite di una famiglia sterminata ad Auschwitz: ebrea incontra ebreo, e con 500 dollari in più Paris, Texas è dell’Academy.
Ogni film una storia: c’è il vecchietto austriaco che vende Maria Braun, ma Fassbinder, malato, marca visita; ci sono a Parigi Eric Rohmer e la produttrice, “raffinatissimi”; c’è il cerebrale Peter Greenaway, che Vania non battezza stronzo, “ma inglese” sì; c’è John Landis, di cui distribuisce Ladri di cadaveri e conserva una polaroid di “coltissimo e delizioso”; c’è l’indiana entusiasta Mira Nair, e in listino l’esordio Salaam Bombay; c’è Robert Altman, “una forza della natura, poderoso e simpatico, soprattutto, un ottimo uomo d’affari. Sì, sono bravi questi americani”. Anche Weinstein, dice Traxler.
Il porco Harvey, “un grande professionista, molto burbero, ma uno che ci capiva”. Non vede vittime nello scandalo, né Weinstein che è “un approfittatore”, né “chi ci ha preso insieme l’ascensore per andare a vedere la collezione di vasi cinesi: se a una non va, non ci va”. Sopraggiunta al terzo capitolo della propria vita, per citare Jane Fonda, Traxler non ha nulla da perdere, qualcosa da vincere, molto da dire: “Sono entrata nella moda a 26 anni, ero – guardi le foto – una bellissima ragazza con un carattere forte, e la dignità di più: concedersi ha una contropartita, però non è l’unico modo per lavorare, scherziamo?”.
Manfredi muore nel 2000, Vania barcolla ma non molla. Otto anni più tardi affida agli schermi italiani l’opera prima di Tom Ford, A Single Man, con finale a sorpresa. Quando l’accoglie in velluto nero Armani, lo stilista ne è avvinto, e pure della cena apparecchiata per 80 persone: bianche le tovaglie, bianchi i fiori, bianco il pesce (“Mangia solo quello”), come da perentoria richiesta dell’assistente di Ford. All’ennesima intemperanza, Vania si costringe a metterla al suo posto: “Ho ricevuto i reali del Belgio a casa mia, non so se le basta”. Il meglio è da venire. “Ottimo, ma perché il pesce bianco?”, Vania esplicita il diktat della publicist, Tom le ricorda che è texano e capace di una fiorentina da tre chili, lei rimane sbalordita, lui commenta divertito: “Si devono pur guadagnare lo stipendio”.
Nel 2011 Traxler si vota a Madonna, anziché il cero accende il proiettore: W.E. dà alla sua Archibald – aveva sostituito Academy – “una botta bestiale: mi ha stroncato”. Lady Ciccone è molto professionale, freddina, “tac tac tac”, l’esordio alla regia un flop, Vania paga caro, e paga tutto. Con Mimma Gaspari Golino, una vecchia amica del collegio – “il più snob d’Europa” – Poggio Imperiale di Firenze, oggi progetta fiction, perché “i buffetti sulla guancia che date agli anziani come fossero bambini non fanno per me”.
Nel cassetto conserva un tovagliolo: “Manfredi e Vania, il prossimo film è vostro”. Era il 1988, a Cannes Pedro Almodovar portava Donne sull’orlo di una crisi di nervi: lei non riuscì a prenderlo, lui mantenne la promessa. E Vania Protti Traxler distribuì Legami.