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 2018  luglio 26 Giovedì calendario

Sono pazzi 8 migranti su 10

iciamo che il problema esiste. Se Medici senza Frontiere spiega che «il 60,5 per cento dei profughi mostra problemi di salute mentale» e poi, in altra sede, precisa meglio che «l’87 per cento dei pazienti dei centri di accoglienza ha bisogno di supporto psicologico» (maniera più gentile di dirlo) capite bene che le ragioni di questo disagio mentale, più o meno giustificabili o comprensibili, non tolgono che la stragrande maggioranza di chi sbarca non ci sta tanto con la testa. Poi sarà anche parzialmente normale, per via del viaggio devastante che li ha condotti da noi: ma da quanto emerso non è tutto qui. Che sia per le guerre, o appunto per i duri viaggi della speranza, o perché hanno subito galera e torture, o per la traumatica rottura con la terra d’origine, beh, sta di fatto che «tra i pazienti presi in carico», rileva una ricerca, «l’87 per cento ha dichiarato di soffrire per le difficoltà legate alle condizioni di vita attuali», e che la probabilità di avere dei preoccupanti disagi psicopatologici, tra questa gente, è risultata superiore di 3,7 volte tra i richiedenti asilo che avevano vissuto eventi traumatici. Si parla appunto di stress post traumatico ma anche di ansia, depressione ma anche schizofrenia, come nel caso che riguardò il ghanese Adam Kabobo che nel maggio 2013, nel quartiere Niguarda di Milano, uccise tre passanti a colpi di piccone. Sono i disturbi psicologici più diffusi tra i migranti: quindi sì, diciamo che il problema esiste, anche se le fonti di questi dati – Medici Senza Frontiere, per esempio – tendono a vederlo come un problema nostro che abbiamo il dovere di risolvere: non come un criterio ulteriore per valutare la quantità e la qualità dell’accoglienza.

L’ACCUSA AL GOVERNO 
La stessa Medici Senza Frontiere ha esposto i dati per lamentarsi della direttiva del ministero dell’Interno che tende a contenere i costi e, quindi, a restringere gli interventi di «inclusione sociale» ai titolari di protezione umanitaria. «Una soluzione di corto respiro». ha detto Msf, «che avrà anche l’effetto di ostacolare l’individuazione di persone vulnerabili, con un impatto negativo sulle loro condizioni di salute». Detto malissimo, il Ministero ha tolto i soldi che servivano per individuare i pazzi veri, ma su una quasi totalità – va detto – di disagiati mentali. Detto ancora peggio, la contraddizione è inquietante: nei centri vengono a mancare i soldi per curare i disagiati mentali ma gli stessi centri, «soprattutto in quelli di grandi dimensioni, spesso contribuiscono a riacutizzare i traumi subiti durante il percorso migratorio». Malattia iatrogena, la chiamavano un tempo: cioè causata dalle cure e dal luogo in cui te le somministrano. Ma vediamo qualche dato. Il dossier presentato nei giorni scorsi da Medici senza Frontiere (una ricerca condotta tra luglio 2015 e febbraio 2016 in vari Centri di accoglienza straordinaria di Roma, Trapani e Milano, più altri raccolti a Ragusa tra il 2014 e il 2015) evidenzia che il 60,5 per cento aveva problemi di salute mentale; tra quelli presi in carico, il 42 per cento mostrava disordini da stress post traumatico, il 27 per cento soffriva d’ansia e il 19 di depressione: parliamo di gente con un’età media di 23-24 anni. Ma il dato peggiore è che «l’87% ha dichiarato di soffrire per difficoltà legate alle condizioni di vita attuali», cioè sta peggio ora rispetto a prima.

STIME AL RIBASSO
Perché? Per ragioni anche ovvie: inattività quotidiana, paura per il futuro, solitudine, timore per i familiari lasciati nel Paese d’origine. Cose normali, anche se c’è il rischio che i numeri siano approssimativi: l’alto numero dei profughi che sbarcano sulle coste non consente certo di monitorarli a uno a uno, e nei centri di accoglienza la presenza di psichiatri o anche solo psicologi non è certo obbligatoria, anzi. Quindi il problema, secondo Medici senza Frontiere, è che non ci impegnamo abbastanza per operare (anche) «uno screening attivo per valutare la necessità di un supporto della salute mentale tra gli ospiti dei centri... I servizi territoriali spesso mancano di competenze e risorse, e non sono ancora in grado di riconoscere i segni del disagio... la permanenza presso i centri è prolungata e sovente fonte di ulteriore disagio». Detto che peggio non si può: arrivano mezzi pazzi, diventano pazzi e ne escono impazziti. E tutto questo non va fermato – secondo la Ong – bensì aggiustato, gestito, migliorato.